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Martina Barone
Una terapia di gruppo: recensione del film di Paolo Costella
Tags: claudio bisio, claudio santamaria, Lucia Mascino, Margherita Buy, paolo costella, Una terapia di gruppo, valentina lodovini
La commedia all’italiana è piena di maschere che, prese singolarmente, risultano esagerate. È nel DNA del nostro cinema: calcare su personaggi assurdi e mostrarli in quanto tali. Le macchiette sono state una cifra stilistica di un genere che ha permesso, di volta in volta, di scattare delle istantanee del periodo storico in cui erano ambientati racconti che hanno fatto la fortuna di registi e attori nostrani. È per questo che guardare ai personaggi di Una terapia di gruppo di Paolo Costella fa riflettere su come, ad oggi, quel sottile, sebbene evidente, lavoro di parodizzazione dei comportamenti delle persone sia sfuggito di mano. Non problematizzando più il surreale mettendolo a confronto con il “normale”, ma inserendo tutti insieme nello stesso bacino.
Come nella pellicola spagnola Toc toc di Vicente Villanueva, a sua volta partita da un testo teatrale francese, nell’opera remake scritta da Costella insieme a Michele Abatantuono e Lara Prado i protagonisti sono, come simpaticamente dichiarato dal leader Claudio Bisio, “sei personaggi in cerca di psicanalista”. Sebbene sia chiaro che ognuno di loro debba avere peculiarità e patologie per cui si differenziano dai canoni di ciò che rientra nella quotidianità del resto delle persone, la caricatura dei protagonisti e le conseguenti interpretazioni affliggono una sceneggiatura che non riesce già ad azzeccare nemmeno una linea di dialogo. E che dunque, nel complesso, risulta ancor più caricata, ingigantita e inutilmente iperbolica.
Una terapia di gruppo è una commedia che, seppur vede i suoi protagonisti in cerca di aiuto, non vuole essere necessariamente accondiscendente o rassicurante. Rovina però la sua vena più brutale nell’andare a parare verso una conclusione ovvia (“inaspettati” colpi di scena a parte) e dimostrando di non aver avuto nemmeno il coraggio di rinunciare a quel pizzico di bontà che invece riserva infine a personaggi e spettatori, e a cui il film ha fatto solo finta di poter rinunciare.
Inutile dire che il talento degli attori coinvolti non è in discussione, soprattutto dei più navigati. E, anzi, può risultare quasi curioso vedere una Margherita Buy in veste di pesce fuor d’acqua in un acquario di insensatezze e battute che cadono a vuoto, o un Claudio Santamaria che, con la sua bravura, non si comprende bene perché non scelga di fare una ricerca più accurata sui ruoli in cui cimentarsi – che non significa rinunciare allo spirito comico che ha dimostrato (in altri contesti) di avere. Di sicuro a salvarsi al meglio in Una terapia di gruppo, in cui sono sempre tutti in scena in un unico luogo e in un unico tempo, è una divertentissima Lucia Mascino, il cui pregio è di avere una capacità naturale di cogliere i ritmi e gli iati giusti, purtroppo riservati a un’opera dove è il resto della ruota che non riesce a girare adeguatamente.
Andare in terapia è importante e farlo usufruendo anche del cinema può contribuire a far bene alla mente e al cuore. Vedere però l’ennesima commedia italiana senza arte né parte, che ha poco di originale e non si differenzia dal seminato, non fa che appesantire un panorama che è già pieno di simili riunioni di gruppo, facendo fare al percorso di risanamento del genere un passo indietro.
Una terapia di gruppo è al cinema dal 21 novembre con Warner Bros. Pictures.