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Under the Grey Sky, recensione del film di Mara Tamkovich
Alessio Zuccari

42TFF | Under the Grey Sky, recensione del film di Mara Tamkovich

Tags: 42TFF, Mara Tamkovich, Under the Grey Sky
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La regista polacco-bielorussa racconta uno spaccato di militanza giornalistica e politica sotto la dittatura di Lukašėnka.

Il 15 novembre 2020 la giornalista Katsiaryna Andreyeva viene arrestata assieme alla sua operatrice, Darya Chultsova. Viene arrestata perché stava testimoniando le manifestazioni di piazza a Minsk, la capitale di una Bielorussia in protesta da mesi a seguito della rielezione, con brogli, di Aljaksandr Lukašėnka, dittatore in carica dal 1994. Di questa storia vera parla Under the Grey Sky, il chirurgico esordio alla regia di un lungometraggio di Mara Tamkovich, presentato in anteprima italiana nel Concorso del Torino Film Festival 2024.

Un’opera sorprendente a partire dalla sua sequenza d’apertura, l’unico momento del film in cui siamo assieme alla protagonista Lena Antonova (Aliaksandra Vaitsekhovich) e al suo punto di vista, nel pieno di un atto di opposizione giornalistica attraverso il racconto pirata delle proteste. Lena sta trasmettendo in diretta, ma la polizia ha individuato l’appartamento in cui si trova ed è questione di una manciata di minuti prima che vengano a prenderla. Avrebbe l’occasione di evacuare ed evitare la cattura, ma questo comporterebbe l’interruzione del segnale. E così sceglie di restare.

Il dilemma tra il me e il noi

Under the Grey Sky, recensione del film di Mara Tamkovich

È già tutto qui, al centro, il pilastro che sorregge il dilemma morale di Under the Grey Sky: quand’è che la vocazione al proprio lavoro, che in questo caso confina con il dovere pubblico, dichiara resa alla questione privata? Quando e come si decide di rimanere o di andare via? Dove si colloca il confine tra il noi e il me? Un quesito siglato dal drastico stacco di montaggio durante la concitata chiamata in cui Lena avverte il marito Ilja (Valentin Novopolskij) che la stanno arrestando, con il film che strappa dal volto di lei a quello di lui.

Da qui in poi Tamkovich racconta le vicende affondando nell’odissea di quest’uomo, che tenta di fronteggiare ciò che sta accadendo a Lena al meglio delle sue possibilità. Perché questo tipo di dilemma è un dilemma che riverbera anche addosso a coloro che stanno vicino a chi le scelte le compie, nella probabilmente più rovente e infame delle leve degli autoritarismi, cioè la minaccia passiva di rivalersi sui cari, sugli amici, sui conoscenti.

Del film colpisce il grande controllo con cui la regista inchioda quella condizione in perfetto bilanciamento tra l’orrore di una costrizione invisibile e la sottile linea del riverbero emotivo. Sarebbe questione di un’inquadratura, di un’inclinazione eccessiva del copione e ogni cosa rischierebbe di scivolare nel lacrimoso, nel movimento ricattatorio. Notevole è invece l’abilità di Tomkavich, che la sceneggiatura la scrive anche, nel rispettare tutti gli appuntamenti drammaturgici da manuale senza tuttavia caratterizzare questi due personaggi in eccesso di asservimento empatico.

Anzi, è estremamente interessante notare il modo in cui Under the Grey Sky non sia mai accomodante nella risoluzione dei conflitti interiori di Ilja, che sarebbe voluto andare via e a un certo punto vorrebbe patteggiare, e di Lena, la quale invece applica una sorta di egoismo militante. Che è sì strumento politico, ma anche fonte di dolore e pericolo per chi appunto la circonda – da brividi fermarsi a riflettere su quale sorte possa essere toccata alla famiglia che ha ospitato Lena nell’appartamento da cui riprendeva le immagini della protesta.

Un’opera rigorosa e combattiva

Under the Grey Sky, recensione del film di Mara Tamkovich

Tomkavich possiede uno sguardo di grande rigore formale, che assieme all’ausilio della fotografia cupa (ma non priva di speranza) di Krzysztof Trela le consentono di realizzare un film asciutto (dura oltretutto un’ora e venti), con pochissime e mirate soluzioni di regia capaci di comunicare la costante sensazione di pericolo, il senso di impotenza, la frustrazione di non avere strumenti concreti con cui agire. Nemmeno quelli che paiono essere offerti dalle regolamentazioni giuridiche, che in realtà si sgretolano come castelli di sabbia contro la sovrastruttura violenta delle dittature.

Tutt’oggi Andreyeva è detenuta nelle carceri bielorusse, condannata nel 2022 con una sentenza per alto tradimento e una pena da trascorrere in prigione di otto anni e tre mesi. Under the Grey Sky, che nonostante tutte le angherie non è un film rassegnato, ne mantiene accesa la fiamma e la lotta, sancendo anche come contro il muro di gomma dei totalitarismi e le derive autoritarie di cui si sta avvelenando il mondo, sono nelle mani dell’informazione, e di chi l’informazione la fa, i primi strumenti della lotta di resistenza.

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