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Uno di noi sta mentendo: recensione della serie tv su Netflix
Tags: netflix, Recensione, serie tv, uno di noi sta mentendo
Sinossi ufficiale di Uno di noi sta mentendo:
Al liceo Bayview cinque studenti sono in punizione: Bronwyn (Marianly Tejada), studentessa modello pronta per Yale; Addy (Annalisa Cochrane), la ragazza bionda e perfetta; Nate (Cooper van Grootel), gi? in libert? vigilata per spaccio; Cooper (Chibuikem Uche), il lanciatore di baseball all-star. E infine Simon (Mark McKenna), l’emarginato e creatore di About That, la famigerata app di gossip della scuola. Solo che Simon non esce vivo da quella classe e secondo gli inquirenti, la sua morte non ? stata un incidente:? ? morto un luned? ma quel marted? aveva programmato di pubblicare succose rivelazioni su tutti e quattro i suoi compagni di classe. Ora, tutti e quattro sono sospettati del suo omicidio. Sono davvero colpevoli??
Nel genere adolescenziale per antonomasia, il teen drama di derivazione statunitense, l?evento spartiacque di un prima e un dopo che ha cambiato l?assetto delle narrazioni contestuali ? stato l?arrivo degli smartphone. Se proviamo a pensare alle serie tv maggiormente di successo arrivate al pubblico tra il finire degli anni Novanta e i primi Duemila, i telefonini e internet erano pressoch? assenti o, quantomeno, non cos? rilevanti nella vita degli adolescenti, ancora ignari di quei dispositivi che di l? a poco avrebbe dato forma alla loro identit? e dunque al destino dei prodotti seriali del nuovo millennio.
Gossip Girl ? forse quello che pi? di tutti ha dato il via al prototipo del binomio liceali alle prese con il mondo dell’online, ritrovando nel blog e nelle notifiche che puntualmente arrivavano sugli allora rudimentali cellulari dei diversi personaggi bersagliati da un?anonima figura dietro quei post, l?appiglio da cui dipanare le diverse storyline, segnando la nascita di un cult e un modello per l’avvenire.?
? proprio alla serie sulle vite scandalose dell?Upper East Side, che il teen-crime su Netflix Uno di noi sta mentendo tenta di riesumare il medesimo schema per dar vita ad un prodotto francamente insipido, nato dalla carcassa del successo clamoroso della prima e mai pienamente in grado di avanzare con le proprie gambe.
A mettere in pericolo l?apparente perfezione dei quattro personaggi al centro del racconto, pienamente disegnati sugli archetipi da high school della cheerleader, del rugbista, della studentessa esemplare e del bello e dannato, anche stavolta un sito curato da un outsider dello stesso edificio scolastico, deciso a smascherare l?ipocrisia dei compagni ritenuti pi? brillanti perch? l?unico a conoscere davvero le loro reali identit?. La sua morte, avvenuta in circostanze (non molto) imprecise durante l?ora di punizione, li render? gli unici sospettati. Ma a quale costo ? lecito mantenere privati i propri segreti?
Non ha molto da dire Uno di noi sta mentendo, adattamento del best seller di Karen M. McManus, romanzo che mescola mistery e young adult in una formula priva di mordente e, soprattutto, di concreta emozione. E se non ha nulla da aggiungere al filone dei prodotti per i giovanissimi, ancor meno sulle necessit?, i tomenti, le euforie della generazione che vuole inquadrare. Rifugiandosi in un?estetica ricercata, irrorando ogni inquadratura con toni giallo-arancio e angolazioni o movimenti di macchina sebbene tendenzialmente poco banali, l?opera diretta da Erica Saleh fa sbuffare gi? alle sue premesse, quando durante il pilot palesa con tempismo l?esigenza incomprensibile di raccontare i diciassettenni attraverso la lente dei piccoli detective, fotografando le loro esperienze di crescita tramite la presenza costante, asfissiante, vincolante degli smartphone.
Non ? ingiusto affermare allora che l’operazione del teen poliziesco non appassioni affatto. Perch? a non appassionare ? l?idea di base di riportare sullo schermo la bellezza dell’et? di mezzo bypassando totalmente i momenti pi? formativi: quelli dell?esitazione, del tentennamento del desiderio, dell?attesa, dei turbamenti. E non delle riunioni in gran segreto nel club del delitto, complottando sui moventi, le prove, le accuse e i possibili responsabili come fossero in una stazione di polizia in un crime da prima serata. Quello in onda su Netflix, dunque, funziona (forse) come visione parziale e temporale, un inframezzo superficiale alla visione sentita di spaccati generazionali certamente pi? coraggiosi, capaci di dialogare con gli spettatori, facendo sorgere domande, riflessioni, identificazioni, crescita.
Vogliamo perci? credere che i diciassettenni liceali di tutto il mondo siano molto pi? di questo sterile e parziale frammento narrativo. Che la loro non sia solo una vita a testa in gi? vista dallo schermo di un pc o di un cellulare. Che la loro maturazione non sia solo paura di rivelarsi sui blog scolastici, di essere bersaglio degli agenti di polizia perch? indicati come killer non ancora maggiorenni. E vogliamo altres? credere di poter vedere in futuro un accostamento motivato al mondo teen con quello giallo, che l’elemento del whodunit sia pretesto per ricavarne qualcosa di meno asettico di un ritratto sconfortante come quello dentro Uno di noi sta mentendo.
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