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Martina Barone
Venezia79 | Don't Worry Darling: recensione del film con Florence Pugh
Tags: dont' worry darling, florence pugh, Venezia79
Florence Pugh e Harry Styles sono i protagonisti di Don’t Worry Darling di Olivia Wilde, ma il film supererà tutte le controversie che lo hanno coinvolto?
Don’t Worry Darling è un film viziato già dal suo principio. Non proprio dall’annuncio del progetto, accolto con clamore tanto dai fan di Harry Styles, quanto da quelli di Florence Pugh, che pur non calcando come il suo co-protagonista i palchi di tutto il mondo, si è costruita nel giro di pochi anni un entourage di fedeli e appassionati che la seguono e acclamano ad ogni successo. I primi problemi sono sopraggiunti quando la regista dell’opera, Olivia Wilde, ha iniziato una relazione con la popstar britannica, indispettendo uno stuolo numeroso di estimatori che hanno da subito cominciato a pensare ad un’operazione di marketing fatta a tavolino.
Strategia non del tutto assurda, soprattutto vista la seconda mossa dell’operazione della pellicola: quella del far passare il film come nuovo orizzonte dell’esplorazione del piacere di una giovane donna, selezionando accuratamente le scene da isolare e prestando attenzione alle parole da dire così da far passare Don’t Worry Darling come la mecca del nuovo cinema erotico. Ci sono state poi le controversie sui rapporti tra regista e attrice principale, le dichiarazioni di Florence Pugh che accusava la pubblicità spicciola e svilente del film. Fino all’arrivo della finta volontà di Olivia Wilde di escludere dal set Shia LaBoeuf per la sicurezza della sua protagonista, scoprendo poi invece che sembrava proprio la reticenza di “Miss Flo” (come la chiama in un video diventato virale) a non andare a genio alla cineasta che ha tentato in tutte le maniera di avere l’attore di Padre Pio e Transformers.
Anche l’approdo al Lido, in cui la pellicola viene presentata in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia, ha destato scompiglio, con l’assenza di Florence Pugh alla conferenza stampa perché, secondo versioni ufficiali, troppo impegnata nella produzione di Dune 2, pur solcando il red carpet per il piacere e la gioia dei fan. Che se ne voglia dire questo ammasso di informazioni e chiacchiericci non ha potuto che aumentare il desiderio di scoprire il segreto dietro a questo mistero. Non quello narrativo della trama dell’opera (o, almeno, non solo), bensì se dopo i putiferi innalzati e le inimicizie sempre più inaspritesi Don’t Worry Darling fosse comunque una pellicola da ammirare.
Ad aggiungersi, in fondo, c’è anche il successo conferito da critica e pubblico a Booksmart, primo film da regista di Olivia Wilde che ha aumentato un’asticella con cui il secondo lavoro deve necessariamente confrontarsi. Ma incanalare le news di mesi e portarle con sé durante la visione dell’opera è l’assetto peggiore con cui entrare in sala e approcciarsi alla pellicola. Un fardello troppo ingombrante per permette di osservare onestamente cosa ha da offrirci con piacere la regista, che dimostra ancora una volta di saper essere nonostante tutto un’ottima mestierante.
Basato sulla sceneggiatura di Katie Silberman, Don’t Worry Darling non ha nulla di originale se si guarda agli antecedenti La moglie perfetta e The Truman Show con cui viene, nel bene e nel male, abbinato. Non ha niente di vagamente stupefacente nella scrittura, così lineare e priva di guizzi a cui Wilde ha dovuto rimediare con la propria mano. Ma è proprio per questa ragione, per questo suo essere così derivativo eppure artisticamente intuitivo, che la regista ha potuto concedersi di influenzare da subito la percezione dello spettatore. Mettendolo davanti al pericolo senza nemmeno dargli il tempo di capire dov’è esattamente o come ha fatto a ritrovarsi catapultato in un universo colorato da luci e tecnicolor.
Depotenziando volontariamente qualsiasi possibile curiosità sul cosa potrebbe essere e cos’è in effetti la Victory Town di cui i protagonisti sono residenti, esplicando da subito al pubblico la falsità e l’enigma che si cela dietro all’”armonia della simmetria” che fa di ogni luogo, ogni angolo, ogni persona l’una la copia dell’altra, Don’t Worry Darling si concentra prima di tutto sulla suggestione. Quella che Olivia Wilde deve stimolare e lo fa attraverso frammenti e innesti, i quali vengono rilasciati e inseriti anche solo per una frazione di secondo, il tempo minimo per lo sguardo di incanalare un lapsus e processarlo. Un accenno lungo più o meno un battito di ciglia, differente di volta in volta pur nella ripetitività di alcuni gesti e pratiche dei personaggi. Un Get Out – Scappa di cui sappiamo già come ipoteticamente potrebbe andare a finire e che per questo gli viene concesso di poter articolarsi in modo differente, di usufruire da subito di ciò che nasconde al di sotto cominciando a farlo fuoriuscire immediatamente.
Per questo Don’t Worry Darling si dimostra un ragionato e intrattenitivo film che rincorre e afferra il proprio genere. Dentro cui si immette con caparbietà immergendosi in riferimenti e echi cinematografici i quali evidenziano il fine narrativo, arricchendolo perciò nelle scelte di montaggio e nel discorso che cerca di portare avanti dal punto di vista delle immagini. Una Florence Pugh che si presta a farsi rinchiudere in questa scatola delimitata dall’altezza delle montagne e che esplora assieme alla pellicola il thriller nella sua definizione di cinema più classico, guardando all’indietro pur con un’estetica moderna, presentandosi retrò nello stile, nei costumi e nelle scenografie di un’epoca – e di una settima arte – che vuole ricreare, inserendola poi nel contemporaneo.