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Martina Barone
Venezia79 | Gli spiriti dell'isola: recensione del film con Colin Farrell
Tags: colin farrell, Gli spiriti dell'isola, Venezia79
Il regista e sceneggiatore Martin McDonagh torna per una storia che è un’enorme metafora dell’esistenza, della creatività e della loro creazione/distruzione
Nel 2017 Martin McDonagh vince il premio alla Mostra di Venezia per la miglior sceneggiatura di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Uno dei film più significativi degli ultimi due decenni dal punto di vista della scrittura, surclassato agli Oscar da un’ammirevole operazione di genere quale Get Out – Scappa, ma pur sempre considerato tra le migliori opere contemporanee. Pur dirigendo infatti le sue stesse pellicole, è sempre la costruzione dei personaggi e della storia a colpire delle operazioni cinematografiche dell’autore londinese, nonché una direzione degli attori da cui si nota esserci un pensiero dietro nato da prima, da quella stessa mente che andrà poi muovendoli sullo schermo, plasmandoli secondo la propria creatività.
All’auspicato ritorno di McDonagh risponde Gli spiriti dell’isola, film che lo vede riformare il trio composto assieme a Colin Farrell e Brendan Gleeson nell’esordio In Burges, costringendoli alla solitudine e al microcosmo che va instaurandosi nelle dinamiche di un’isola, dove pochi personaggi e poche relazioni edificano il teatro umano del cineasta. Ed è proprio come ponendosi di fronte ad una pièce che lo spettatore si ritrova, facendosi guidare dai sotto testi di un’opera che mentre si sciorina davanti ai suoi occhi dimostra di avere molto più da dire rispetto a quanto lascia mostrare.
La vita e la morte sono concetti semplici se messi a confronto con i temi legati all’umanità, alla solitudine, all’arte e all’intelligenza uniti alla visione artistica o meno dell’esistenza secondo Martin McDonagh. Tutto passa per una parentesi, che al proprio interno ha una parentesi, che al proprio interno ne ha un’altra ancora, spalancandosi e difficilmente richiudendosi liberando la riflessione con cui l’autore sfida il pubblico. Una penna che cerca interpretazioni, che non ne vuole dare di solide e unilaterali, ma interagisce attivamente con lo spettatore intraprendendo una conversazione in cui mettere sempre, costantemente in discussione qualsiasi cosa.
È l’imprevedibilità il continuo schiacciare delle dita che cambia ad ogni sequenza il tono della pellicola, quasi ad ogni frase pronunciata dai personaggi. Che devia il sentiero su cui sembrava essersi incamminato, modificando in corsa la propria rotta e generando infrenabili arresti e repentine ripartite. Il cambio di volta che coinvolge e confonde i medesimi protagonisti, strumenti utilizzati da Martin McDonagh per restituire le insensatezze, le violenze, il bisogno di restare e insieme di andarsene degli uomini, distaccati e osservati con lo sguardo premuroso e esasperato del genere femminile.
E, ad amplificare la preveggenza di Gli spiriti dell’isola, una “banshee” – dal titolo originale, termine per indicare un’arpia, un fantasma urlante annunciatore di morte – che scruta nei destini degli abitanti avvertendo loro e il pubblico sul futuro che li aspetta. Eco di una tragicità da palcoscenico in cui ritrovare le streghe del dramma Macbeth e quella classicità di un’arte che il regista adatta per il cinema.
Una fiducia che se McDonagh non riserva alle persone, affida ammirevolmente ai suoi attori. Un Colin Farrell che, come in qualsiasi occasione con l’autore, cerca dei registri su cui lavorare attraverso fisicità ed espressioni. Un costume che l’attore indossa mettendo le proprie radici sull’isolotto irlandese, facendo in modo che le influenze di quella terra aspra agiscano sul personaggio. Procedimento similare a quello con cui Gleeson ha contornato – e tagliuzzato – il suo uomo alla ricerca della grandezza mentre prova di accantonare la mediocrità. Un duo imprescindibile del panorama di McDonagh, in grado di incanalarne le ancestrali contraddizioni.
Un film che è un altro oracolo del talento di Martin McDonagh. Una poeticità dura e di una complessità di cui ci si rende consapevoli per l’impossibilità di una decodificazione chiara e cristallina. La metafora di una guerra civile al di là dell’acqua, che non restringe il campo dei simbolismi di Gli spiriti dell’isola, ma anzi li spazia e li enfatizza, sapendo di non poterli forse cogliere tutti e, sicuro, non del tutto.