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Martina Barone
Venezia79 | Pearl: recensione del film horror con Mia Goth
Tags: Mia Goth, Pearl, Venezia79
Dopo il precedente X – A Sexy Horror Story, Ti West torna con il prequel/sequel Pearl scritto assieme alla sua protagonista Mia Goth
Ti West gira back to back i suoi film X – A Sexy Horror Story e Pearl. Il primo passa solo in sala, sia in America che in Italia, mostrando le similitudini tra il mondo dell’industria pornografica e quella orrorifica degli anni Settanta, mentre alla seconda pellicola viene dedicata la serata di mezzanotte per il pubblico della 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, legittimandosi così durante il festival nella sezione Fuori Concorso. In verità la seconda opera, girata in continuità con il già cult X, è un prequel rispetto agli eventi con al centro la protagonista Maxime di Mia Goth. Un’origin story della sua villain nell’horror rappresentata dall’anziana Pearl, interpretata sempre dalla stessa attrice e scelta come centro del lavoro successivo.
Era in fondo proprio questa anziana signora vogliosa di amplessi e di giovinezza l’aspetto più inquietante e conturbante di X. Cattiva con cui non empatizzare, ma di cui scorgere dietro la propria psicosi un tormento in cui Ti West decide di andare più affondo, scrivendole un proprio film e rendendola finalmente la stella che aveva sempre agognato. Dalla grana sfocata e pesante dei 70s, con Pearl l’autore passa alla limpidezza e ai colori di un cinema classico, amplificando ancora di più l’aspetto metacinematografico abbinando ai due racconti delle differenti maniere di venir realizzate.
Lo stile languido e ammiccante della costruzione e della visuale di X – A Sexy Horror Story viene sostituito dalla semplicità voluta dei tagli di immagine e dell’enfatizzazione delle espressioni e delle emozioni del suo sequel/prequel. L’anima da Kansas da Il mago di Oz si riflette nello sguardo e nella realizzazione scenica e registica di Pearl, condizionando di conseguenza anche il racconto e il proprio modo di essere proiettato.
Un gioco di ideazione e rimandi, edificazione di mondi e passaggi tra i diversi stilemi del cinema i quali fanno percepire il grande divertimento che Ti West ha investito nell’ensemble di quella che può dar la sensazione di una doppia pellicola. Due anime in un unico corpo che vedono un necessario cambio di registro a seconda dei decenni e degli attributi che nel corso del secolo hanno caratterizzato ogni volta la settima arte. Il saper fare horror in qualsiasi anno ci si trovi, merito della stesura di un inquietante e, nell’universo orrorifico, già iconico personaggio.
La meticolosità nel tratteggiare un nemico che si fa protagonista all’opera numero due passa anche dall’intenzione di West di farsi affiancare nella sua delineazione dall’attrice che va vestendola. Mia Goth figura alla sceneggiatura di un’operazione che si focalizza totalmente su quella sua ora giovane assassina di cui Pearl evidenzia le fratture interne, nell’animo e nella psiche. Un’esplorazione della mente della ragazza su cui hanno agito agenti esterni, dalla pandemia di febbre spagnola al disagio di un’esistenza trascorsa in una fattoria vissuta come una prigione. Ma ad essere pressante è anche il seme di una perversione di cui tutti, lei stessa e i propri genitori, sono forse sempre stati al corrente. Una malvagità che l’ha fatta sentire ogni volta diversa dagli altri, chissà se proprio per questo speciale.
Pearl analizza dunque il disagio dell’inseguire sogni a cui si crede di essere destinati, espressi attraverso una brama di sangue in compensazione delle ristrettezze di una vita misera e povera, di cui non si vuole accettare di far parte. E se la sete di fama non può essere saziata è allora quella con l’ascia che comincia ad essere brandita. A volteggiare in aria prima di affondare la lama in oche indifese o amiche dai riccioli biondi, per un male – sia provato, che nell’accezione più terribile del termine – che ribolle nella donna dovendosi prima o poi sfogare. E se non è su di un palco a ballare in prima fila, sarà agendo con la furia più assatanata. Quella di un occhio vitreo e assente che sfoggiano tutti i più rappresentativi psicopatici, dal sorriso tirato e allarmante come quello indelebile di Pearl/Mia sui titoli finali.