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Martina Barone
Venezia79 | Tár: recensione del film con Cate Blanchett
Tags: cate blanchett, Tár, Venezia79
Il regista e sceneggiatore Todd Field torna dopo sedici anni con Tár, dramma contemporaneo che riflette sul potere e il valore dell’arte
Todd Field torna al cinema con il suo terzo film dopo sedici anni di distanza. Un tempo assai lungo, che lo allontana enormemente dai precedenti In the Bedroom e Little Children che lo avevano affacciato al mondo della sceneggiatura e della regia, raggiungendo fin da subito i più ambiti riconoscimenti dell’industria dello spettacolo.
Pur non avendo infatti stretto nulla tra le mani, se non un Golden Globe come Migliore attrice protagonista per Sissy Spacek per In the Bedroom, entrambe le pellicole sono state comunque insignite di nomination e candidature che le hanno portate fin nel teatro della notte degli Academy, potendo aspirare anche alla vittoria per il Miglior film e rimanendo pur sempre soddisfatte nonostante la mancata premiazione.
Eppure gli anni sono passati e Todd Field ha aspettato con pazienza prima di ripresentarsi al mondo del cinema e del suo pubblico rimasto comunque affezionato all’autore pur non ricevendone più notizie. Ma l’attesa è stata ripagata e Tár non solo è il ritorno in grande stile di un cineasta che il dramma sa come dirigerlo e contestualizzarlo, bensì un altro possibilissimo oggetto da Oscar, da elogi ed entusiasmi, soprattutto quando si tratta della performance della sua interprete, un’estasiante Cate Blanchett.
È proprio il cognome della compositrice e direttrice d’orchestra il titolo dell’opera e che appartiene a quella figura enigmatica, ma presto scomposta e messa sotto la luce, che per entrare a far parte di un circolo di artisti e intellettuali ha cambiato il proprio nome dal semplice Lidia al più musicale Lydia. Una costruzione che segue nell’esistenza della donna tutto un tragitto che viene solitamente ricoperto da quelle persone che, a un certo punto nella loro vita, riescono a rivestire un ruolo di potere.
Ed è questo l’elemento alla base di una pellicola che conferma la capacità di Todd Field di rimanere ancorato al presente ad ogni uscita delle sue opere. Al dramma concitato e melodrammatico di In the Bedroom (2001), l’autore alterna la coralità e la struttura a livelli dell’anche superiore Little Children (2006), per arrivare nel 2022 ad una disamina su cosa vuol dire detenere una posizione di rilevanza e dominio nella contemporaneità riflettendo un cambiamento intrinseco dei tempi.
La trasformazione di un passato che non può avere più attinenza in una società moderna con una coscienza sul sé e il circondario – fatto di gusti artistici, posizioni morali, status di genere e espressione della propria sessualità -, la quale avviene con un ribaltamento che crea la problematicità da dover districare di Tár e che vede una donna ricoprire caratteri e azioni solitamente attribuiti agli uomini. La storia è infatti quella di tanti altri personaggi di spicco, di individui geniali la cui mente o il talento hanno superato di gran lunga il fare comune, elevandosi al di sopra delle abilità umane e raggiungendo per questo un ruolo nell’Olimpo.
È un film che non indaga la ricerca e la consapevolezza dell’identità, intesa proprio nelle caratteristiche e nelle specifiche del genere a cui si appartiene o in cui ci si riconosce, bensì ne allinea gli attributi andando quasi ad annullarlo. Rimanendo centrale perché dimostra un assunto univoco: il potere rende tutti uguali. Dimostrandolo dunque con una tesi di una complessità che potrebbe risultare indubbiamente ostica allo spettatore, nonché un’infinita fonte di incomprensioni nella lettura del proprio testo.
Ma è proprio prerogativa del cinema di Todd Field quella di non rendere facile al pubblico con un’immediata occhiata i propri prodotti filmici, costringendolo ad uno sforzo che potrebbe portarlo fuori strada, pur avendolo però stimolato ad interrogarsi su questioni che per l’autore non sono mai statiche. Scegliendo una donna omosessuale come rappresentante di una categoria di predatori e affabulatori, un personaggio in una posizione dominante con successi e gloria pari a quella di tanti colleghi dell’altro sesso, in Tár c’è assieme la prova che il genere non c’entra molto quando c’è di mezzo l’autorità, pur non potendo comunque che notare la presenza nella protagonista di tratti solitamente e spesso comuni proprio in personalità maschili.
Una donna può calcare lo stesso podio riservato per troppi anni solamente agli uomini, ma è l’influenza di quella posizione che in Tár tratteggia il percorso della direttrice d’orchestra, che per il suo orientamento sessuale e/o di genere non è comunque portata a distaccarsi dalla tossicità e dal dogmatismo di una visione di ieri, troppo impegnata ad adulare e a giustificare se stessa. Dando dei “robot” a chiunque le capiti attorno, senza accorgersi che è soltanto lei ad agire secondo dinamiche prestabilite da un modo di fare che per decenni ha connotato l’arroganza e il senso di superiorità di coloro che si ritrovavano alla cima della scala sociale, quello che aspetta la donna è la caduta da quel trono su cui per troppo tempo si è seduta e da cui ha crudelmente legiferato.
Tár non mette mai in dubbio il talento della protagonista. Non ne obietta la meraviglia, né la vanifica dopo ciò che si scopre aver fatto. Ma la pellicola, assai lucida seppur indigesta per alcuni versi, non può che condannarla, aprendo un dibattito sulla divisione tra uomo ed artista – in questo caso, è fondamentale, donna – che mostra dall’interno come i due aspetti non possono che essere indissolubilmente attaccati.
Con un’intelligenza cristallina della comprensione e dell’analisi del personaggio, Cate Blanchett riserva una prova d’attrice che le varrà un ulteriore riconoscimento per la sua bravura nel panorama mondiale e ne riconfermerà un genio artistico che passa tutto per la sua interpretazione. I tic di Lydia Tár, le idiosincrasie prima di salire sul palco, la maniera sibillina di insinuarsi nel tessuto lavorativo e personale dei suoi colleghi e familiari sono estensione di una performance che vibra come la bacchetta della sua direttrice di orchestra quando batte con potenza sul leggio o si libra in aria facendo muovere o arrestare la musica. Un’attrice raffinata anche quando deve rappresentare l’umanità più torbida. Un ruolo per cui verrà ricordata, come una sinfonia o un’opera che attraversa il tempo.