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Alessio Zuccari
FolleMente: recensione della nuova commedia di Paolo Genovese
Maura Delpero arriva in concorso al Festival di Venezia 2024 con Vermiglio, secondo film che prosegue l’esplorazione dell’universo femminile da parte di una regista dalla cifra autoriale già solida. Il debutto alla regia di un lungometraggio di fiction, Maternal, nel 2019 fu presentato al Festival di Locarno e già ne emergeva la volontà di mettere al centro il tema della maternità.
E ne emergeva pure una dottrina dello sguardo debitrice dello spirito d’osservazione di carattere documentaristico, forma di linguaggio cinematografico nella quale Delpero ha speso i primi anni della propria carriera registica. Una voce sospesa tra il rigore formale di Michelangelo Frammartino – nella composizione geometrica in cui a muoversi sono gli attori e non la macchina da presa – e l’adesione empatica di Alice Rohrwacher, dove il terreno di incontro comune sta in un rurale dove andare a ricercare le verità umane, intime e sociali.
Vermiglio è allora ambientato nell’omonimo paesino del Trentino-Alto Adige nel corso dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale. Da queste parti non si esplodono però colpi d’artiglieria, ma si rifugia, non senza scetticismo degli abitanti, chi diserta dal conflitto. Tra loro un soldato (Giuseppe De Domenico) di cui finisce per innamorarsi la timida e silenziosa Flavia (Martina Scrinzi), la più grande di tre sorelle figlie dell’unico insegnante del paese (Tommaso Ragno). I due si avvicinano e Flavia rimane incinta, ma a un certo punto lui riparte per tornare da dove proviene, la Sicilia, con la promessa di non rimanerci per sempre.
Nell’agognata attesa di Flavia, scavata nel volto di magnifica espressione di Scrinzi, Delpero condensa l’intrecciarsi di una riflessione che spazia dall’educazione sentimentale ed emotiva («si può piangere anche perché felici») per sfociare poi a uno sguardo sul posizionamento del femminile nelle pieghe e nelle clausure del tempo in cui spesso è stato costretto.
Vermiglio, racconto con al centro Flavia ma di fondo corale, descrive speranze, illusioni e ribellioni (quella della “maschiaccio” Carlotta Gamba) attraversando i detriti di una storia in cui sono le donne a scontare i peccati altrui. In un recinto in cui gli uomini decretano e combattono il loro gioco, la guerra, questa è però sempre una dannazione che ricade anche su di loro. Nel film si concatenano così generazioni espressione di passato, presente e futuro, che condividono un destino comune lento a sgretolarsi (figura cardine è quella della madre, interpretata da Roberta Rovelli), ma non per questo approcciato dal film con nichilismo o fatalismo.
Anzi, la sceneggiatura di Delpero è brillante nell’intercettare anche diversi momenti di dolce rilascio, nell’ironia familiare in cui soprattutto gli attori più piccoli (la fanciullezza fondamentale: ancora, Rohrwacher) emergono con una rinfrancante tenerezza. Vermiglio è un cinema da festival sano e digeribile, un racconto che magari non aggiorna le coordinate d’interesse del nostro cinema più autoriale (rimangono, di fondo, quelle), ma che elabora con grande eleganza e tatto.
Vermiglio sarà al cinema distribuito da Lucky Red.