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Cristiana Puntoriero

White Men Can’t Jump: recensione del film remake su Disney+

Tags: disney, film, recensioni
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Cristiana Puntoriero

White Men Can’t Jump: recensione del film remake su Disney+

Tags: disney, film, recensioni

Grazie all’enfasi su tematiche contemporanee come la salute mentale e il lavoro che manca nelle classi sociali più basse, White Men Can’t Jump è un film più abbordabile di altri nell’omaggiare il basket, lontano dai soliti schemi dell’NBA e delle star. Ma rimane pur sempre un film sul basket.

La trama di White Men Can’t Jump:

White Men Can’t Jump è una rivisitazione in chiave moderna dell’iconico film del 1992 che celebra la cultura dello streetball di Los Angeles. La superstar del rap multiplatino Jack Harlow fa il suo debutto come attore nel ruolo di Jeremy, un’ex star di questo sport la cui ascesa è stata bloccata dagli infortuni, mentre Sinqua Walls interpreta Kamal, ex promessa del basket che ha buttato via la sua carriera. Alle prese con relazioni incerte, pressioni finanziarie e gravi lotte interne, i due giocatori, apparentemente cosi diversi, scoprono di avere in comune più di quanto credano.

La recensione di White Men Can’t Jump

Ormai è chiaro a tutti: negli Stati Uniti il basket è venerato e osannato come lo è il calcio in Italia. Uno sport-mania a cui il cinema a stelle strisce dedica almeno una diecina di titoli l’anno, tra sport-drama, documentari sulle grandi star dell’NBA, serie tv sulle squadre più influenti, remake di comedy e chi più ne ha più ne metta. Si pensi, ad esempio, al grande successo riscosso da Ben Affleck con Air (sulla nascita della collaborazione fra la Nike e Michael Jordan ma pur sempre di basket si tratta) o alla prima stagione del drama Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers, prodotta da HBO e rinnovata a pieno per una seconda.

C’è dunque oltre metà della popolazione (americana e non) che nel divorare partite e Super Ball alimenta la propria condivisa passione anche su generi di finzione, al cinema come sulle piattaforme, diventando non solo spettatori allo stadio di grandi match ma anche di uno schermo di produzioni televisive e cinematografiche. Ma esiste un’altra esatta metà di persone a cui il basket non interessa minimamente, e in prospettiva di vedere un film come White Men Can’t Jump, remake dell’omonimo del 1992 in Italia uscito con Chi non salta bianco è, ci si chiede come opere come questa in cui si spiega, si vede, si respira basket per almeno l’80% del tempo, possano trovare un punto in comune anche con analfabeti sportivi e pigri cronici.

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Credits: Disney+

Sport come riscatto personale

Calmatic, regista prettamente di videomusicali di rapper famosi come Kalid, Lil Nas X, Pharrell Williams e Kendrik Lamar, qui al suo secondo lungometraggio dopo House Party (2023), sceglie a sorpresa la strada (quasi) opposta al compromesso: il suo è sì una reinterpretazione in chiave contemporanea di un cult con aggiunta a margine di tematiche sociali come la salute mentale, la fatica delle classi economiche medio-basse e la visibilità di una Los Angeles meno patinata, ma è e rimane a tutti gli effetti un film sul gioco del basket.

Attraverso il progressivo avvicinamento fra i due opposti, Kamal e Jeremy, entrambi accomunati dall’urgenza di sopravvivere alle tasse e a un rinserimento in campo dopo infortuni irrecuperabili e arresti al liceo, White Men Can’t Jump preme celebrare soprattutto la mentalità e il flow delle movenze dello streetball (il basket praticato sulle strade) come stile di vita, radici identitarie e salvezza dal cinismo del mondo, trovando in quel doppio canestro da centrare il punto di svolta delle proprie esistenze.

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White Men Can’t Jump: amicizie sul campo da basket

Per quanto infatti la sceneggiatura si impegni a dedicare spazio ad altro, soprattutto in termini di prospettive umane di due giovani all’arrembaggio in una città economicamente insostenibile, ognuno con un passato di rinunce forzate, cocenti delusioni e fantasmi adolescenziali che ritornano, a prendere spazio nella durata (e si percepisce) è comunque quel pallone rimbalzato da mano in mano, tra salti, schemi di gioco e preconcetti sulle abilità fisiche di due colori della pelle (da qui il titolo) a risuonare preponderante per tutta la visione.

Ribaltando i ruoli di genere (sono le donne a mantenere i compagni, più frivoli e immaturi) e conservando la parabola dello sport come riscatto personale e rinascita, il film di Calmatic  non esclude la visione a un pubblico anti sportivo, ma non per questo si preclude la prerogativa e il diletto di onorare il basket nella sua forma più pura, ovvero all’interno dei quartieri di Los Angeles fra appassionati e perditempo amatoriali, lontano dalle grandi leghe. In una forma di sport proletario costruito su tornei estivi in cui oltre alla gloria si vincono soprattutto i soldi per pagarsi le multe. E recuperare il rapporto con la propria, emancipata fidanzata.

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