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Roberta Panetta
The White Lotus 3 recensione: la satira sociale sbarca in Thailandia
C’è un grande silenzio nel palazzo dove abita Adam (Andrew Scott). È un grattacielo alto, nuovo di zecca. Dall’ampia vetrata del suo appartamento si scorge il centro di Londra: è un miraggio distante, praticamente un mondo a parte. Nel palazzo di inquilino ce n’è solo un altro, Harry (Paul Mescal). I due si osservano a distanza per un po’, poi scatta un feeling e si frequentano la sera, nello spazio sicuro della casa di Adam.
Solo la sera perché durante il giorno l’uomo lavora come sceneggiatore. Sta provando a raccontare una storia in cui far rivivere i suoi genitori (Claire Foy e Jamie Bell), scomparsi trent’anni prima in un incidente d’auto, quando era ancora un adolescente. Attraverso la scrittura Adam è come se si ritrovasse davvero di fronte a loro: davanti alla loro casa, seduto al loro tavolo, sdraiato nel loro letto. Estranei, il nuovo film di Andrew Haigh passato in anteprima italiana nel programma di Alice nella città 2023, non nasconde mai la sua natura di opera tra il terapico e il misterico.
Haigh adatta Estranei a partire da Strangers, romanzo di Taichi Yamada, mutuando la struttura e inserendo come centrale il tema dell’omosessualità del protagonista del film. Sappiamo che Adam la mattina lavora, ma l’opera lo fa viaggiare e tornare in quella campagna di un’infanzia spezzata precocemente. Gli fa instaurare un dialogo immaginario che si pone ad elaborazione di un’identità che l’uomo non ha avuto il tempo di confessare ai genitori.
Allora deve supporre e nella supposizione di queste reazioni si scontra con gli spigoli anche del possibile pensiero negativo, delle paure, della repulsione. «Sii onesto» dice Adam a un certo punto, quasi a far da monito a se stesso. Mentre tenta di trovare un senso dai tratti assolutori a un’identità che vive quasi come una colpa – quella di Adam è una generazione di provincia cresciuta nella vergogna del proprio orientamento sessuale e dei traumi dell’AIDS, evocata come vertigine in un passaggio letteralmente febbricitante –, si inserisce poi il rafforzarsi del rapporto con Harry.
Qui Estranei si fa però ancora più torbido, vorticoso e quasi confuso. Il limbo che Haigh tratteggia tagliando fuori praticamente ogni coordinata tra realtà e fantasia è fascino e debolezza allo stesso tempo. Il regista instaura un dialogo ininterrotto tra regno dei fantasmi e mondo dei vivi, rinunciando alla definizione dei parametri secondo cui leggere le pulsioni e i sospiri di un protagonista irrisolto.
Ma queste pulsioni e questi sospiri si accavallano fondendosi assieme in una torre di temi solo riflessi nelle finestre dell’appartamento di Adam. Ci sono appunto il rapporto mancato con la genitorialità e la piena accettazione del sé; ma anche la disparità nel confronto con una generazione – quella di Harry – che vive la propria condizione con una libertà fatta pure di droghe e abuso di alcol, e quindi anticamera di altri demoni che in Estranei si affacciano solamente.
C’è insomma più dolenza indotta che dolore vero e proprio. Più rifrazione delle sfumature emotive in cui Andrew è trascinato – tra un accompagnamento musicale e l’altro – che l’emozione nuda e cruda. Estranei si muove nei toni freddi di una fotografia (Jamie D. Ramsey) anch’essa volta a strutturare a monte il sentimento, a catturare la lacrima spillata dal dramma al quale Scott e Mescal donano comunque un’apprezzabile quanto erotica alchimia.
Alla fine dei conti quello che manca sono un tocco di regia sufficientemente etereo e la sottigliezza di un racconto che invece ha l’ambizione notevole, ma troppo elevata, di riassumere l’interezza di un’esistenza.