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Alessio Zuccari
42TFF | Waltzing with Brando, recensione del film di Bill Fishman
Tags: 42TFF, Bill Fishman, Billy Zane, Waltzing with Brando
Che grande, terribile confusione che è Waltzing with Brando. Ma cosa voleva fare veramente Bill Fishman, che lo scrive e dirige? Di certo non un biopic tradizionale su Marlon Brando. Ma questo lo si può intuire già dalla matrice letteraria da cui è tratto il film, Waltzing with Brando: Planning a Paradise in Tahiti di Bernard Judge, architetto statunitense che tra gli anni Sessanta e Settanta collaborò con il leggendario attore per creare un’oasi ecosostenibile nel suo atollo di Tahiti. Allora un elogio alle ambizioni di due individui distanti e ritrovatosi a condividere una visione sotto lo stesso tetto polinesiano? Nelle intenzioni… forse.
Il film che ha chiuso il Torino Film Festival 2024 – kermesse dedicata proprio a Brando nel centenario della sua nascita – in realtà non ha mai, nemmeno per un istante, le idee chiare. L’ariete è quello di Billy Zane, l’iconico interprete di uno dei villain più odiati della storia del cinema, il Cal Hockley di Titanic, che veste i panni e soprattutto il volto di Marlon Brando, in uno sforzo di mimesi d’impatto. La somiglianza è francamente sbalorditiva. Al di là di quello c’è però davvero molto poco.
A partire dalla scelta confusissima di optare per un tono di umorismo spiccato, a tratti demenziale, a tratti slapstick, persino con una ricorrente rottura della quarta parete da parte di Bernard (Jon Heder). È lui il vero protagonista di questa storia, che inizia con la ricerca della giusta location in cui costruire un hotel per un magnate americano e finisce alla corte libertina dell’attore. È il 1969 e Brando ha già iniziato a meditare l’idea di un completo ritiro dalle scene professionali e pubbliche. Coltiva il sogno di costruire una residenza nelle purissime e bellissime isole di Tetiaroa, di sua proprietà, ma l’impresa non sembra in nessun modo possibile.
Qui entra in scena Bernard, che prende in consegna l’incarico e progetta anno dopo anno, fino al 1974, i piani per portare a termine il sogno del suo nuovo amico. Solo che ci vogliono una montagna di soldi, e così Waltzing with Brando attraversa gli anni di grandi successi e ruoli iconici che Brando accettò di fare per mandare avanti i lavori di costruzione. In questo Fishman trova pure la scusa di ricreare scene da Il padrino, Apocalypse Now, Ultimo tango a Parigi, senza che siano mai davvero utili al racconto, ma solo pretesti per mostrare quanto Zane sia dannatamente simile al personaggio che interpreta.
La pellicola sembra insomma nient’altro che il tentativo di fare una favoletta edificante ed ecologista, strizzata tra l’ambizione virtuosa di un uomo che in realtà ne esce fuori malissimo, per lo più con l’immagine di un uomo ricco e viziato oltre ogni misura che vuole ciò che vuole perché può volerlo e ottenerlo ai suoi termini. Che poi sarebbero: edificare, ma con cura dell’ambiente in cui si va a edificare.
Qui sta oltretutto la maggiore e costante smentita di Waltzing with Brando, che nel tentativo di inseguire le tracce di questo suo portato positivo scade ripetutamente in scelte surreali di sceneggiatura. Per intenderci meglio ci affidiamo a un esempio principe. Dopo l’ennesima menata sul fare tutto a dovere, in rispetto agli equilibri naturali di Tetiaroa, segue una a dir poco assurda sequenza in cui un bulldozer rimane incagliato nella barriera corallina, perché l’imbarcazione che lo stava trasportando non era in grado di reggerne il peso.
Fin qui uno potrebbe dire: capita. Ma che fa uno degli operai? Pensa bene di provare a guidare il veicolo anche se mezzo affondato. E incredibilmente ci riesce. E ancor più incredibilmente con giubilo, gaudio e risate dei presenti, tra cui Bernard, che addirittura esulta! A nessuno pare insomma fregare davvero nulla della intuibile e probabile conseguente distruzione di quel tratto di barriera su cui il bulldozer si era prima arenato e sulla quale ha poi camminato di certo non con passo felpato. Non è un caso isolato del film, perché Waltzing with Brando è costellato dall’inizio alla fine di decisioni bislacche e contraddittorie come questa (parla in continuazione di abbattere qui, piallare lì), in una continua negazione dell’unica traccia di senso a cui un’operazione del genere potrebbe appellarsi.
Ci sarebbe poi lo spazio per discutere dell’impegno civile e sociale di Brando, ficcato a forza in inserti introdotti dal voice over di Bernard senza nessuna tipologia di relazione a cosa in quel momento il film stia raccontando. O ancora delle tracce da commedia romantica che coinvolgono l’architetto e sua moglie, oppure della più totale incapacità di creare una scena, ma che sia una, in grado di commentare il rapporto d’amicizia tra i due protagonisti. Ma ci rendiamo conto che non occorre, fermiamoci qui.