Top News, Film in uscita, Recensioni

0
Alessio Zuccari
Elio, recensione del nuovo film Pixar diretto da Domee Shi e Madeline Sharafian
Tags: domee shi, elio, madeline sharafian, pixar
“C’è vita lassù?” si chiede Elio mentre punta il naso verso le stelle con la speranza che qualcuno arrivi e lo porti via. Qui, sulla Terra, pensa non ci sia più nulla per lui. Perlomeno non più da quando ha perso i genitori ed è rimasto solo con la zia Olga, che dal canto suo ce la mette tutta ma non sa proprio come prenderlo. In mezzo c’è un vuoto troppo grande da colmare. Allora il nuovo film Pixar diretto da Domee Shi (suo era Red) e l’esordiente al lungometraggio Madeline Sharafian, con titolo omonimo del suo protagonista, fa quello che la Pixar ha sempre fatto meglio: da un mondo interiore espande un intero universo esteriore.
Si torna dunque alla fantascienza dopo Lightyear, che andò così così, e il viaggio emotivo di Elio per riconnettersi alle persone diventa un viaggio tra le stelle. Perché alla base dove lavora Olga – una militare della Space Force statunitense – arriva un segnale: sono proprio gli alieni. Nessuno ci crede se non Elio, che fa di tutto per farsi raggiungere. Il rapimento di cui è vittima diventa così un evento accolto e non temuto, il passo di un bambino verso un cosmo fatto di sbalorditive scoperte.
Certo, forse nell’immaginario che il film propone lo sbalorditivo sta più negli occhi del piccolo Elio che nella resa creativa di una realtà che a livello visivo racconta in fondo non poi così tanto e un po’ le solite cose. Creature di diverse forme e dimensioni, architetture morbide, colori sgargianti. Questa è infatti la natura del Comuniverso, un luogo di condivisione interspecie popolato da differenti società galattiche che coltivano il sogno di una coesistenza pacifica.
Un’utopia in cui Elio, a seguito di alcuni goffi malintesi, è subito accettato come rappresentante degli esseri umani. Tuttavia un’utopia che la sceneggiatura di Julia Cho, Mark Hammer e Mike Jones mostra disarmata nella pratica e nelle intenzioni nel momento in cui un guerrafondaio, Lord Grigon, sceglie che di quel sogno vuol essere padrone. Lui brama tutto e ha i mezzi per ottenerlo, mentre gli ambasciatori del Comuniverso balbettano presi alla sprovvista.
Sta qui la prima e più forte risonanza dell’opera con la realtà sbrindellata che ci circonda, dove il desiderio di pace e cartapesta è davvero assaltato ovunque dalle follie belligeranti di capibastone di mezzo mondo. A partire da questo, Elio discute dunque la solitudine individuale del piccolo protagonista passandola attraverso la scoperta della responsabilità personale, della fiducia nel prossimo, di un nuovo dialogo intimo con le figure di riferimento più vicine.
È un film che nel mettere in ballo molte questioni in un’unica traccia narrativa si ritrova anche ad optare per una generale semplificazione. Per stessa ammissione delle due registe, nel farlo strizza l’occhio a grandi classici della sci-fi. Alien di Ridley Scott: tra terrori cosmici e corazzati. Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. di Steven Spielberg: la comunicazione e l’arrivo degli extraterrestri, ma pure i temi di amicizia e padri-figli. La cosa di John Carpenter: con cloni-gomma e fluidi organici.
Forse è a causa di questo avere tanto in poco tempo (un’ora e mezza) che la corda emotiva finisce per essere stimolata con timidezza. Ad esempio è a singhiozzo il rapporto costruito tra Elio e sua zia, principale nucleo empatico, troppo affrettato all’inizio nel darne per intesa la frattura e quindi in parte strozzato sul nascere. Decisamente più riuscito invece il divertente rapporto di complicità con Glordon, figlio di Grigon, viatico a un’efficace riflessione su maschile ed eredità.
Perché se nel complesso Elio non aggiorna linguaggio e impulso discorsivo, è attraversato però da idee brillanti. Folgorante è quella del carapace indossato dalla razza di Grigon e Glordon, che con un colpo solo sintetizza le maglie strette di una tradizione velenosa da cui non ci si riesce a smarcare e l’ermetismo di un maschile che si impone d’esser tale tra culto della violenza e repressione del sentimento. Questa davvero intuizione degna di una Pixar d’altri tempi.