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Lee: recensione del film con Kate Winslet
Alessio Zuccari

Lee: recensione del film con Kate Winslet

Tags: ellen kuras, kate winslet, Lee
Lee: recensione del film con Kate Winslet
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Alessio Zuccari
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Ellen Kuras esordisce alla regia di un lungometraggio con un biopic lineare che manca la messa a fuoco sulle motivazioni e implicazioni del mestiere di fotoreporter.

Nel macrogenere dei film biografici, a cui spesso ci riferiamo più in breve con biopic, esistono molte forme e dimensioni. Quelli musicali, patinati (Bohemian Rhapsody) o più estroversi (Better Man), quelli in gigantismo storico e visionario (Oppenheimer), quelli che reinventano personaggi e faide (Amadeus). Poi esistono anche i biopic “chi è?”. Una categoria piuttosto facile da riconoscere, dove la formula di solito prevede: un intervistato in là nell’età, restio a raccontare certi snodi tenuti celati del proprio passato; un intervistatore, seduto sul divanetto dalla cui intervista verrà poi tratto il libro dal quale a sua volta sarà adattato il film; poi il rimembrare, risalendo a ritroso i flussi del tempo in ordine rigorosamente cronologico, scandendo le memorie e punti salienti della vita della persona che quasi sempre dà il titolo al film.

Insomma, il biopic “chi è?” assolve al ruolo della pagina Wikipedia messa in movimento con le immagini. Lee, diretto dalla debuttante alla regia Ellen Kuras dopo anni e anni di travagliata lavorazione (se ne iniziò a parlare nel 2015), rispetta per filo e per segno questi parametri. Al centro del copione, scritto da Liz Hannah, John Collee e Marion Hume, dell’inquadratura e pure del poster c’è Lee Miller (Kate Winslet), celebre fotografa di guerra durante gli avvenimenti del secondo conflitto mondiale. A intervistarla, seduto proprio sul divanetto, c’è il figlio Antony Penrose (Josh O’Connor), che nel 1985 pubblicherà The Lives of Lee Miller, da cui il film è ovviamente tratto.

Lee: trama e temi del film

Lee: recensione del film con Kate Winslet

“Sono stata la modella, la musa, l’ingenua” racconta Miller, figura poliedrica nata e cresciuta negli Stati Uniti prima di spostarsi in Francia, dove ha conosciuto il mondo dell’arte e dell’alta società culturale parigina. Poi ha conosciuto anche il futuro marito Roland, interpretato da Alexander Skarsgård, uno dei moltissimi nomi noti di un cast d’alto profilo che sventola nomi come Marion Cotillard, Noémie Merlant, Andrea Riseborough. Quando lui parte per la guerra, decide di farlo anche lei. Però come fotoreporter, imbarcandosi nelle zone calde d’Europa per conto di Vogue assieme al collega David Scherman (Andy Semberg).

Lee è tutto addosso alla performance di Winslet, in un one woman show dentro e fuori lo schermo (in momenti di difficoltà finanziaria della produzione, l’attrice si è addossata parte dei compensi della crew). È la performance dell’attrice, la cui intensità non stiamo qui a scoprire oggi, che veicola all’interno di un racconto dritto, lineare, costruito per restare rigidamente all’interno di uno steccato interessato a raccontare la persona e non più di tanto la professionista. Che è un tentativo di compromesso fuorviante e anche parziale, come quando ad esempio taglia fuori il riportare (perché inizia dopo) il rapporto che aveva unito Miller al fotografo e artista francese Man Ray, periodo durante il quale oltre a intrattenere con lui un legame tra musa, amante e allieva apprende anche le tecniche e le pratiche della fotografia.

Lee: recensione del film con Kate Winslet

Quando arriva poi alla Seconda guerra mondiale, ai campi di sterminio e alle foto che hanno reso leggendario il lavoro di Miller, il film pratica uno spostamento del baricentro sul mero lato dell’empatia, del sentimento interiore in relazione a un contesto di disfacimento morale e umano come quello della guerra. Lee lascia che a coesistere siano la donna e la donna che scatta le fotografie (basta vedere come insiste in più occasioni anche sul lato della solidarietà femminile), senza una mediazione, necessaria, su cosa significhi davvero per Lee scattare foto, come scattarle, quando e come farlo. Su come si sia preparata e cosa rappresenti quel mestiere. Non si pone vere questioni sul valore della testimonianza giornalistica e fotografica, se non quelle che concernono un’epidermica remora sul diffondere immagini di sofferenza e morte – domande alle quali rispondeva un’altra Lee, la protagonista di Civil War di Alex Garland interpretata da Kirsten Dunst, anch’ella fotografa la cui ispirazione era proprio il lascito di Miller.

Il rischio del biopic “chi è?”, come avviene in questo caso, è insomma quello di annullare le specificità, di fare un report di punti salienti basilare e relativamente innocuo. Che poi, questa del biopic “chi è?”, è la stessa formula di partenza utilizzata, ad esempio, da Pablo Larraín prima con Jackie e poi con Maria. Ma qui non stiamo parlando di Pablo Larraín e non stiamo parlando di due copioni meno convenzionali rispetto al solito, che in quei casi permettevano deviazioni dal tracciato e testimoniavano soprattutto che anche il biopic “chi è?” non è vincolato per natura al restare monolitico su uno sciorinare date, luoghi e situazioni.

Lee è al cinema dal 13 marzo con Vertice 360.

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