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The Crow: recensione del film reboot con Bill Skarsgård
Alessio Zuccari

The Crow: recensione del film reboot con Bill Skarsgård

Tags: Bill Skarsgård, FKA Twigs, The Crow
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Alessio Zuccari

The Crow: recensione del film reboot con Bill Skarsgård

Tags: Bill Skarsgård, FKA Twigs, The Crow

Rupert Sanders firma la regia della travagliata nuova trasposizione del fumetto di James O’Barr, che tenta di proporre di nuovo al cinema un grande cult.

Al cinema il reato di lesa maestà non esiste. Esistono solo i film che sanno dire qualcosa e i film che invece qualcosa non la sanno dire. Vale per tutti, anche per i remake, reboot, sequel, requel e compagnia cantante. Allora nell’anno in cui cade il trentennale de Il corvo, la celebre opera di Alex Proyas con Brandon Lee, non c’è da storcere il naso davanti all’arrivo di The Crow, nuova rivisitazione della serie a fumetti di James O’Barr. Anzi, rettifichiamo: c’è da farlo, ma quando si arriva ai titoli di coda. Perché questo progetto rimpastato per lunghissimo tempo (se ne parla dal 2008) e finito nelle mani di Rupert Sanders, grimaldello tuttofare per lavori discutibili, è figlio storpio di una gestazione travagliata. È un film che, insomma, da dire ha molto poco.

Un nuovo immaginario per The Crow

The Crow: recensione del film reboot con Bill Skarsgård
Photo Credits: Eagle Pictures

Non è mai davvero chiaro che direzione voglia prendere The Crow. E tentare il paragone con l’originale non ha molto senso. Lì dove l’opera di Proyas ricercava l’esasperazione di un’estetica triangolata tra gotico, espressionismo e romanticismo, Sanders (che dubitiamo abbia avuto chissà quale voce in capitolo: guardate quante case di produzione ci sono nei titoli di testa, infiniti), in accordo alla sceneggiatura di Zach Baylin e William Schneider, cerca la sintesi di un contemporaneo alternativo. Ci sono smartphone, foto e video digitali, ma per le strade ci sono anche automobili del secolo scorso tra i palazzi di una simil-Gotham europeizzante – si è girato tra Praga e Monaco.

È il tentativo di installare l’iconografia di un mondo limbico, quasi anestetizzato, in cui far scivolare il protagonista, Eric. L’arduo compito di ripensare il personaggio sta nel corpo e nel volto peculiare di Bill Skarsgård che, anche qui, non può trovare senso nel confronto con l’interpretazione di Lee, resa leggendaria oltretutto dalle vicende extradiegetiche – l’attore, infatti, morì sul set a causa di un colpo d’arma da fuoco che doveva essere a salve. Si percorre un’altra via. Lo si riempie di tatuaggi, lo si reprime con un’aura antisociale e lo si trova per la prima volta all’interno di un centro di recupero per tossicodipendenti.

È dove conosce Shelly (FKA Twigs), ragazza problematica finita da poco in detenzione e sfuggita al tentativo di assassinio di Vincent Roeg (Danny Huston), un boss della malavita con poteri sovrannaturali. Dopo essersi fiutati e scelti come a fare un’anticipazione tarocca di Joker: Folie à Deux – con dei problemi macroscopici di gestione dei tempi che affliggono l’intero The Crow –, i due scappano dalla struttura e provano a vivere la loro luna di miele, alcol e droghe. Perlomeno fino a quando Roeg non li trova e li fa uccidere, trasformando indirettamente Eric in uno spirito che torna dall’oltretomba (con l’aiuto del Kronos di Sami Bouajila) per ottenere vendetta e tentare di resuscitare l’amata.

Un film buono per i video di TikTok

The Crow: recensione del film reboot con Bill Skarsgård
Photo Credits: Eagle Pictures

Ma lo struggersi di Eric, che sulle spalle si porta un’infanzia torbida che il film suggerisce e non argomenta mai, più che nel romantico si insozza in una spacconeria ridicola, chiassosa, incoerente nei toni e nei cambi di umore. È chiaro come The Crow sia stato pensato – o rattoppato alla bene-e-meglio – per un pubblico adolescenziale da stordire con dialoghi puberali e una colonna musicale già pronta per la condivisione sui social. Ecco, per capire in che direzione vuole andare un film ad alto budget spesso basta aguzzare le orecchie.

Fate caso all’utilizzo che The Crow fa delle sue costosissime canzoni su licenza. Okay, ha una soundtrack da urlo: ma come la usa? La rende una parte integrante della narrazione, sul modello di Guardiani della Galassia? Oppure la sfrutta come un depistaggio sonoro, un tappabuchi per compensare il calo di ritmo? Ancora, dà tempo a queste canzoni di esprimersi o le tagliuzza e stipa nell’arco di qualche secondo, giusto il tempo per la transizione tra una scena e l’altra e il rilancio su TikTok? The Crow è tutto così, una sequela di scenette pensate per l’alto impatto ammiccante dei corpi dei due interpreti protagonisti, la messa in posa musicale e l’esplosione di una violenza fastidiosamente espositiva, compreso lo showdown finale a ritmo di lirica.

E intanto di carisma o fascino non c’è traccia alcuna. Non nell’intreccio, al quale non si chiede poi molto in quanto revenge story, ma che non restituisce nemmeno il minimo. Soprattutto non in Eric e Shelly, entrambi monotonali, monocordi, insopportabili. Skarsgård più per la scrittura incomprensibile del personaggio, abbozzato tra il machismo truzzo e il complesso dell’eroe. FKA Twigs invece soprattutto per uno spessore recitativo nullo, in aggiunta alla caratterizzazione stucchevole cucita addosso a un interesse amoroso tra il velenoso e la necessità di essere portata in salvo. Insomma, questo The Crow non sarà lesa maestà. Ma di certo nemmeno il revival in grado di far sbiadire un’opera che tre decenni dopo resta inimitabile e ancora l’unico miglior omaggio da rendere a se stessa.

The Crow è al cinema dal 28 agosto con Eagle Pictures.

Guarda il trailer di The Crow:

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