28 anni dopo, Danny Boyle: “Perché un nuovo film dopo tutto questo tempo? Volevamo parlare di Brexit e Teletubbies”
28 anni dopo, Danny Boyle: "Perché un nuovo film dopo tutto questo tempo? Volevamo parlare di Brexit e Teletubbies"
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Alessio Zuccari
Tags: 28 anni dopo,danny boyle
Il regista inglese arriva in Italia per presentare il nuovo capitolo della saga in uscita il prossimo 18 giugno.
Sono passati 23 anni da quando 28 giorni dopo arrivò nelle sale. Uno zombie movie – anche se più corretto sarebbe dire survival movie, considerato che si tratta di infetti – ambientato in Inghilterra, dove per la prima volta le creature affamate di carne correvano, erano agili, imprevedibili. Alla regia Danny Boyle, in sceneggiatura Alex Garland. Nel 2007 arrivò un sequel, 28 settimane dopo, per l’occasione appaltato a Juan Carlos Fresnadillo. Ora la coppia, che in passato ha lavorato assieme anche per The Beach e Sunshine, torna a collaborare per un ritorno in una Gran Bretagna ancora invasa dalla post apocalisse in 28 anni dopo.
“Il film originale non ha mai smesso di essere popolare e con Garland abbiamo parlato a lungo della possibilità di realizzare un’aggiunta a quella storia”. Così spiega Boyle, arrivato al Cinema Barberini di Roma per presentare alla stampa la sua nuova pellicola. “Il genere horror è molto flessibile e ti permette di ampliare il modo di comprendere le cose. Perciò quando è spuntata fuori l’idea per questo nuovo film l’abbiamo subito coltivata. Forse di base perché ci interessava inserire soprattutto due cose, la Brexit e i Teletubbies”.
Boyle ironizza, ma in effetti sono due elementi a loro modo entrambi presenti nel film con protagonisti Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Ralph Fiennes e il giovane Alfie Williams. “Il viaggio che compie Spike (Williams) è il viaggio del film” ragiona il regista. “Ci si aspetta che segua le orme del padre, quelle di una comunità chiusa in se stessa dopo anni di isolazionismo e che guarda indietro all’Inghilterra del passato. Questa è la Brexit: una concezione di mondo dove i ruoli sono ben definiti, dove la distinzione tra generi è granitica, dove gli uomini vanno a caccia e le donne si occupano di altro. Lui però prende una strada diversa, si lascia influenzare dal nuovo, rappresenta il progresso”.
Photo Credits: Sony Pictures
Poi continua: “Quando abbiamo realizzato il primo film pensavamo al virus come ad una metafora della rabbia che si scatena quando una persona è al volante. Poi però ci siamo resi conto che la rabbia è un’impostazione base della nostra società. Soprattutto oggi, dove mancano figure in cui credere e da cui lasciarsi ispirare. Mancano luoghi e istituzioni di cui fidarsi. Io personalmente credo molto nella BBC, un’emittente che non è di proprietà di nessuno, non ha azionisti, appartiene alle persone. Dove le informazioni e le e immagini vengono controllate, vagliate, verificate. Che provengano dal Presidente Trump o da qualche nefanda associazione russa. E per questa ragione è odiata dalle frange di destra.”
E i Teletubbies? “Questo è solo il primo film di una nuova trilogia con tre storie tra loro autonome” rivela Boyle. “Il secondo lo abbiamo già girato e vedrà protagonista la banda di un personaggio che appare nel finale [interpretato brevemente da Jack O’Connell], che in qualche maniera ricorda i Teletubbies e mostrerà chi sono in realtà i veri mostri. Sulla terza pellicola stiamo invece ancora raccogliendo i fondi.”
28 anni dopo prosegue infine nel tracciare l’ambizione tecnica del regista nel raccontare storie. “Abbiamo usato tantissimi iPhone e moltissime camere da presa leggere, volevamo muoverci in maniera agile” dice Boyle. “Il primo film era il primo ad essere stato in digitale e ad avere una distribuzione molto ampia. Nel frattempo la tecnologia ha fatto passi da gigante e noi desideravamo ricorrere a tutta questa serie di nuovi strumenti. Siamo incappati in diversi problemi, ma è stata una sfida con la quale stimolare la troupe a trovare differenti approcci. Non ci interessava raggiungere la perfezione di per sé, ma piuttosto sfruttare creativamente tutte quelle fessure che te la lasciano intravedere lungo il percorso. Sono una persona curiosa, e mi sento fortunato ad essere tale.”