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Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh
Alessio Zuccari

Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh

Tags: Black Bag: Doppio gioco, cate blanchett, David Koepp, michael fassbender, steven soderbergh
Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh
Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh

Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh

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Alessio Zuccari
Tags: Black Bag: Doppio gioco, cate blanchett, David Koepp, michael fassbender, steven soderbergh

Michael Fassbender e Cate Blanchett sono protagonisti di uno spy thriller che non è ciò che sembra. Dal 30 aprile al cinema con Universal Pictures.

Quello di Steven Soderbergh è un cinema freddo. Da sempre affascinato dal funzionamento e dalle possibili ricombinazioni della macchina-cinema, il regista classe 1963 non ha mai smesso di investigarne le innovazioni tecniche e l’evoluzione delle lenti attraverso le quali angolare il mondo. In questo mai domo né stanco, ha fatto suo il celebre “one for them, one for me”, il mantra attribuito di solito a Martin Scorsese che si riferisce al permettersi di fare un po’ quel che si vuole nel mondo di Hollywood a costo di concedere ogni tanto il proprio talento all’industria e ai suoi scopi.

Interessante allora fermarsi a riflettere come Black Bag: Doppio gioco, decimo film in dieci anni, appartenga in maniera atipica al “one for them”. Ha un budget d’alto profilo (stimato attorno ai 60 milioni di dollari), un cast delle grandi occasioni (Michael Fassbender, Cate Blanchett, Pierce Brosnan, Regé-Jean Page, Naomie Harris, Tom Burke), il genere che più solletica i palati in cerca d’avventura (il thriller spionistico). Il pacchetto, insomma, è indubbiamente di quel tipo.

Ma andando al sodo, in realtà Black Bag: Doppio gioco non fa altro che proseguire un discorso che Soderbergh sta portando avanti da qualche tempo in sodalizio con il rinomato sceneggiatore David Koepp, qui alla loro terza collaborazione dopo Kimi (2022) e Presence (2024) e al terzo capitolo di una ideale trilogia della sorveglianza.

Black Bag: Doppio gioco, la trama e di cosa parla il film

Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh
Photo Credits: Universal Pictures

Le precedenti due erano entrambe opere a basso coefficiente produttivo, con la prima a farsi forza in particolare nella penna di Koepp e la seconda nella regia di Soderbergh. Adesso Black Bag: Doppio gioco sposta tutto nel campo di pertinenza del cinema di intrattenimento, salvo però fare ben altro rispetto a ciò per cui pare chiamato.

Che in apparenza sarebbe scandagliare l’intrigo che sta per minare il rapporto matrimoniale e lavorativo tra due spie dell’intelligence britannica, George (Fassbender) e Kathryn (Blanchett). Dopotutto dev’esserci qualcosa pronto ad incrinarsi tra questi due; su cosa può essere mai basata una relazione duratura come la loro in un contesto di inganni e sotterfugi come il mondo delle spie? C’è un tradimento di mezzo? È tradimento di cuore o tradimento della patria?

Non c’è da aspettarsi le solite coordinate del cinema di spionaggio, che per antonomasia evoca esotismi e spostamenti attorno al globo. Soderbergh e Koepp interpretano la materia calda filtrandola attraverso una griglia narrativa fredda, che a sua volta incapsula l’erotismo (tra i personaggi, tra i personaggi e ciò che li circonda, tra i personaggi e le dinamiche che li legano) e i suoi vapori nelle traiettorie dialettiche di un sospetto virtuale, tra schermi e big data.

Ecco, Black Bag: Doppio gioco si configura come una sorta di teoria del sospetto relazionale ai tempi della frammentazione comunicativa e della non riconducibilità certa delle informazioni. Dalle quali queste spie (si capisce: un mestiere-vettore perfetto ai fini di Soderbergh-Koepp, che quantomeno omaggiano il genere con la presenza di Brosnan, storico James Bond) sono circondate, che le maneggiano come un dato di fatto spesso senza però poterle ricondurre o interpretare.

La messa a fuoco su un mondo vaporizzato

Black Bag: Doppio gioco, recensione del film di Steven Soderbergh
Photo Credits: Universal Pictures

Il contesto si fa dunque vacuo, eroso nelle coordinate geospaziali mentre Soderbergh immortala con lucidità hitchcockiana un mondo immateriale, dove il calore (anche affettivo) è disperso tra telecamere di sorveglianza e programmi informatici di cui non si comprende la matrice, il funzionamento né tantomeno lo scopo. La sceneggiatura di Koepp allora rovescia i tentativi di adesione all’umano e li cerca lì dove sembra assurdo che siano, tramutando persino il poligrafo – oggetto freddo per eccellenza nel suo configurarsi come codice binario di vero e falso – in una tecnica di dissertazione caratteriale, emotiva, morale. Guardare la messa a fuoco: sempre sui personaggi al centro della scena, spesso in stanze o stanzini, mentre lo sfondo è un bordo vaporizzato, un teatro di scena imploso nell’anonimato e in una strutturalità generica.

Certo, un amore tale per il concetto rende Black Bag: Doppio gioco un film dalla postura artificiale. Patologia alla quale non è di certo nuovo lo sforzo di ricerca in cui si immola il cinema di Soderbergh, con la critica di solito incline a giustificarlo a fronte del riconoscimento dello status di infaticabile sperimentatore. Anche se ciò significa archiviare in secondo piano un algido irrigidimento della materia sensibile, con la forma in gigantismo sopra la sostanza – come avveniva molto in Presence, meno in Kimi. In questa occasione si trova una sintesi sempre di innegabile fascino teorico, e fortunatamente pure di maggiore fluidità di superficie.

Guarda il trailer di Black Bag: Doppio gioco:

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