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Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel
Alessio Zuccari

Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel

Tags: david harbour, florence pugh, Jake Schreier, marvel, MCU, sebastian stan, Thunderbolts*
Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel
Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel

Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel

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Alessio Zuccari
Tags: david harbour, florence pugh, Jake Schreier, marvel, MCU, sebastian stan, Thunderbolts*

Florence Pugh, Sebastian Stan e David Harbour sono tra i protagonisti della suicide squad del MCU. Al cinema dal 30 aprile con The Walt Disney Company.

Dove vanno a finire i personaggi secondari una volta che nessuno vuole più giocare con loro? In quale ingrato cimitero vengono seppelliti in attesa che qualcuno li vada a riesumare giusto il tempo per piantargli un proiettile in fronte? “Oh mio Dio, facciamo schifo” esclama sconsolata la Yelena Belova di una bravissima Florence Pugh, constatando l’impotenza di essere e decidere sua e dei suoi compagni in uno dei molti momenti in cui prendono sberle in Thunderbolts*.

Che è il 36esimo film del Marvel Cinematic Universe, l’ultimo della fiacca Fase Cinque, opera su un manipolo di “furono brutti e cattivi” stipato quasi nell’angolo dei giocattoli indesiderati prima dell’arrivo de I Fantastici Quattro – Gli inizi, lo sperato, agognato, disperato slancio con il quale i Marvel Studios si giocano dopo anni di confusione se non il tutto per tutto, quasi. Un film a cui nessuno appenderebbe il proprio destino, proprio come ai suoi sgangherati protagonisti. E che invece è il meglio realizzato, il più appassionato e puntuale del travagliato corso post Avengers: Endgame.

Thunderbolts*, la trama e di cosa parla

Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel
Photo Credits: Marvel Studios

Certo, di mezzo ci sarebbe il migliore in assoluto, Guardiani della Galassia Vol. 3 di James Gunn. Che ci sentiamo però di considerare in una categoria a parte per le motivazioni che lo originano e caratterizzano, chiusura di un percorso altro rispetto al processo MCU. Ma non sembra un caso che in questo Thunderbolts* ci sia un po’ di impronta proprio di Gunn, che prima di finire a capo dei DC Studios e prima ancora della querelle che lo portò a girare The Suicide Squad espresse il desiderio di realizzare una pellicola con protagonisti gli antieroi di scarto dei film Marvel.

Con Gunn è poi andata come è andata e il progetto è arrivatonelle mani di Jake Schreier, il cui ultimo film risale al 2015 e che in mezzo ha fatto tanta tv incluso il piccolo fenomeno Beef su Netflix. Da Beef arriva anche Joanna Calo (anche co-showrunner di The Bear), che si divide in sceneggiatura con Eric Pearson (invece in writing room dei Marvel Studios da una vita) e che nel finale di Thunderbolts*, schiuso in un meraviglioso abbraccio dove si depongono le armi, sembrano allacciarsi allo stesso calore degli abbracci in cui venivano avvolti i protagonisti nell’epilogo ancora di quel Guardiani della Galassia Vol. 3.

Insomma: il cuore che ha Thunderbolts* mancava da un sacco di tempo. Che è un cuore emotivo, certamente, ma anche un cuore del fare le cose e farle fatte bene, ripartendo dalle basi. Cioè dai personaggi. Anche se la storia racconta di un pugno di reietti in fuga, un tempo comodi a loschi scopi e ora con qualcuno che li vuole fuori dai piedi. Quel qualcuno è Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus), mentre loro sono una disillusa Yelena, il padre Red Guardian (David Harbour), l’ex Captain America John Walker (Wyatt Russell), Ghost (Hannah John-Kamen), Taskmaster (Olga Kurylenko).

Intercettare di nuovo lo spirito del tempo

Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel
Photo Credits: Marvel Studios

E se in superficie Thunderbolts* tratteggia le coordinate di una politica che cerca di ricentralizzarsi e pulire i propri panni sporchi mentre nel frattempo è già irrimediabilmente infiltrata da ambigui apparati economico-governativi (de Fontaine capa della CIA ed egoistica industriale, a rischio impeachment), questo è anche il film che meglio e più lucidamente riallinea le diverse istanze meta-narrative che da quasi vent’anni a questa parte muovono i complessi astri del MCU.

Capisce, ad esempio, che in tempi in cui le parole dell’anno sono termini come “burnout” e “brainrot” il terreno è maturo per la trattazione e la messa in metafora schietta delle malattie mentali, della depressione, dell’insoddisfazione cronica, della perdita di senso, temi al centro del film. Questioni cruciali di questi nostri anni Venti, sindrome diffusa di un vuoto (c’è del “void” in Thunderbolts*, a voi scoprire dove e come) da personaggi secondari da cui oggi è affetta quella generazione che con i film Marvel è cresciuta. E che adesso affronta la sensazione di fare schifo, di sentirsi uno scarto, combatte l’impulso di ripiegarsi sulle ginocchia mentre fuori, in un mondo governato da logiche numeriche e di profitto virtuale, tutto si incupisce.

Un morbo che cala come cala l’ombra sulla città – che è sempre New York, che è sempre alle pendici di quella che fu la Stark Tower – in una scena fantastica del film, a oscurare le vestigia di un passato glorioso che sembra remoto, ma era ieri. “Tutto questo per te sarà storia antica ormai”, dice l’ultracentenario Bucky Barnes (Sebastian Stan) ad una ragazza della Gen Z (Geraldine Viswanathan) mentre guardano i resti della torre degli Avengers. Ricordando come i film del MCU travalicano da sempre il confine della stretta opera artistica: sono progetto editoriale, progetto economico, progetto culturale in dialogo stretto con le vibrazioni generazionali. E quando se lo ricordano, i film Marvel sanno essere grande cinema.

Un’opera che impareremo a tenerci stretta

Thunderbolts*, recensione del nuovo film Marvel
Photo Credits: Marvel Studios

È incredibile come per farlo Thunderbolts* si faccia allora bastare poco. Una cura artistica coerente, innanzitutto, efficace nel settare un tono chiaro sin dalla prima inquadratura. Qualcosa che dovrebbe essere scontato per opere che investono ingenti capitali, che invece non lo è – basti pensare alla pigra sciatteria di Captain America: Brave New World, che culminava in uno scontro finale sotto un viale in fiore con una cornice estetica da mettersi nelle mani nei capelli.

Oppure soluzioni semplici di messa in scena. Dopo essere stati risputati fuori da uno scontro più grande di loro e delle loro capacità (ah: Thunderbolts* è pure un action riuscitissimo, con un gran lavoro su effetti più pratici che visivi), gli sporchi e sconfitti protagonisti caracollano per una folla che scorre loro di fianco, indifferente, indaffarata, con persone che entrano nell’inquadratura come se nulla fosse, come se nulla fossero loro.

Ma poi, soprattutto, questo è un film che si aggrappa in maniera commovente ai suoi Thunderbolts. Da loro parte, con loro si diverte, con loro cade. Che si tratti di una gustosissima entrata in scena à la Terminator di Bucky, una volta gregario per eccellenza, che poco a poco ha rosicchiato statura fino ad acquisire risma da leader – lì c’entra probabilmente anche la bravura di Stan, negli ultimi anni in crescita esponenziale. Che sia una delle migliori preparazioni e presentazioni recenti di un personaggio, sarebbe a dire quella del remissivo Bob (Lewis Pullman), in carriera un novello Sentry. A cavallo tra luce e ombra, tra desiderio e paura, tra cielo e abisso, vera anima di un’opera che impareremo a tenerci stretta.

Guarda il trailer di Thunderbolts*:

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