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Alessio Zuccari

Griselda: recensione della serie Netflix con Sofia Vergara

Tags: griselda, netflix, sofia vergara
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Alessio Zuccari

Griselda: recensione della serie Netflix con Sofia Vergara

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L’attrice colombiana si presta al suo primo ruolo drammatico in una serie che declina al femminile la formula di Narcos.

Narcos è stato uno dei primi cavalli di battaglia di Netflix. Sembra surreale a scriverlo, ma la prima stagione della serie incentrata sulla caccia a Pablo Escobar arrivò in piattaforma quasi dieci anni fa, nel 2015. Uno show che venne subito apprezzato e diventò argomento virale (“plata o plomo?”), rinvigorendo il genere del racconto del narcotraffico dentro e fuori Netflix.

Quello che è mancato fino ad ora era una declinazione al femminile della formula. Un po’ per il target maschile e muscolare al quale queste produzioni hanno sempre guardato, un po’ per una fisiologica mancanza di soggetti sui quali incentrare una narrazione. Ad equilibrare il piatto della bilancia ci ha pensato Sofia Vergara. Griselda, serie in sei episodi ancora su Netflix, è il suo personale one-woman-show.

Lei ha intercettato la storia di Griselda Blanco, narcos che negli anni Ottanta ha costruito un ponte criminale impastato con cocaina, sangue e polvere da sparo tra la Colombia e Miami. Lei lo ha proposto allo showrunner Eric Newman, una delle menti dietro proprio Narcos e Narcos: Mexico. Lei, alla sua prima performance drammatica dopo anni tra le fila comiche di Modern Family, interpreta la protagonista, donna che ha fatto del suo status di ex prostituta, moglie e madre il coltello con il quale conficcarsi nel costato di un mondo malavitoso in cui ha sempre figurato da comparsa.

Il corpo e la femminilità come un coltello dalla parte del manico

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Photo Credits: Netflix

Sta qui l’elemento su cui Griselda si gioca le sue carte e su cui in effetti riesce a sparigliare un banco già apparecchiato. Sull’uso che la serie fa della femminilità e del corpo, traslato da oggetto di sopruso, ingiuria, insulto e barbara conquista machista a campo di battaglia. Il personaggio della narcotrafficante, scappata dalla Colombia dopo aver assassinato il marito per liberarsi dal suo giogo, fa del proprio fascino e del fascino delle donne di cui si circonda consapevole oggetto di seduzione e comando. Diventa un’arma impugnata dalla parte del manico.

La strada, certo, è tutta in salita. Le piazze di spaccio sono già sature e saldamente nelle grinfie di uomini opulenti, viscidi, anche ridicoli. Comandano loro. Allora astuzia e charme non bastano a chi vuole diventare la nuova regina della cocaina, a chi vuole diventare colei che verrà poi appellata come “la Madrina”. Una citazione di Escobar – amico d’infanzia di Blanco – in apertura del primo episodio recita: «L’unico uomo di cui abbia mai avuto davvero paura è una donna: Griselda Blanco». Serve, insomma, la brutalità. E in Griselda a dire il vero non manca.

Viene dispensata in alcuni frangenti in maniera piuttosto spietata, con la regia di Andrés Baiz (al timone delle sei puntate) che non si nasconde davanti alle esecuzioni e a qualche sparatoria – quest’ultime da rivedere, così come un’effettistica visiva non sempre all’altezza. Tutto questo utile a sancire, in un racconto che è tale e nel suo cambio di prospettiva, che comunque nulla si deve concedere alla compassione. Del personaggio della protagonista sono descritte e fatte percepire le crude sofferenze umane, ma non le si pongono mai a giustificazione.

Una spirale autodistruttiva

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Photo Credits: Netflix

Nel garantire ciò interviene anche l’uso del controcampo narrativo. Mentre Griselda costruisce il suo impero, la detective June Hawkins (Juliana Aidén Martinez) indaga infatti sulla narcotrafficante, mostrando come anche lei si debba scontrare con la misoginia dilagante in un mondo come quello delle istituzioni. Un parallelo alla realtà criminale che mostra come le questioni di genere siano radicate più nel profondo che nella mera distinzione tra buoni e cattivi. Chiaro, è una scelta telefonata, ma funzionale al circoscrivere gli orizzonti di empatia nei confronti di una protagonista ad ogni episodio più sgradevole e priva di scrupoli.

Occore però riconoscere che nel descrivere questa rovinosa discesa nell’oscurità, Griselda fatica a fare un’adeguata scansione dei tempi e dell’evoluzione del personaggio. Sei episodi sono probabilmente pochi per coprire un arco criminale di quasi due decenni. Il saltare di anno in anno riassumendo per sommi capi la posizione dei personaggi, dei loro pensieri e del mondo che li circonda non è uno schema sul quale la serie riesce a lavorare con chiarezza. Si va inevitabilmente incontro, una volta arrivati al giro di boa, a scarti di personalità e di racconto eccessivamente netti, che sviliscono in parte l’accortezza con la quale è tratteggiata in un primo momento la complessità della protagonista, la quale mescola gli affari alla vita personale fino a far collidere tutto in una spirale distruttiva.

Griselda, alla fine della fiera, azzecca il tono e la ricostruzione di un’epoca ben descritta nei costumi, nelle scenografie, nelle musiche. Sul lungo tratto sacrifica snodi e un certo lavoro in profondità, che a quel punto diventa un bignami sul male sempre più affascinato da se stesso e dal proprio potere in odore di cancrena.

Guarda il trailer italiano di Griselda:

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