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Alessio Zuccari
Another End: recensione del film di Piero Messina con Gael García Bernal
Tags: another end, bérénice bejo, gael garcia bernal, piero messina, renate reinsve
Se Another End fosse arrivato venti o anche quindici anni fa forse adesso staremmo per fare un discorso differente. Ma Another End non è arrivato venti o quindici anni fa. È arrivato oggi, nel 2024. E quindi ben dopo opere audiovisive che hanno trattato il suo stesso discorso e i suoi stessi deragliamenti, in maniera anche più brillante. C’è poco da fare. La prima, grande criticità del nuovo film di Piero Messina, presentato in Concorso al Festival di Berlino 2024, sta proprio qui.
Vada il cast pregiatissimo e dal calibro internazionale, da Gael García Bernal a Renate Reinsve, passando per Bérénice Bejo. Vada l’ambizione di un cineasta italiano nel confrontarsi con riflessioni cinematografiche sempre tardive nel nostro Paese. Ma è complesso non mettersi almeno un poco in allarme di fronte al desiderio, appunto al cinema almeno in parte tardivo, di raccontare ancora l’elaborazione di un lutto che passa dal sintetico, dalla clonazione, da una sorta di doppio.
Sal (García Bernal) ha infatti di recente perso la compagna, Zoe. Sceglie così di avvalersi dei servizi offerti dalla società dove lavora sua sorella Ebe (Bejo), la Another End, che offre una tecnologia in grado di riportare in vita per breve tempo la coscienza di un deceduto per alleviare ed elaborare il momento del distacco. Quello che occorre è un “host”, il corpo di un’altra persona che affitta se stessa per la temporanea migrazione della personalità. Vengono da sé i risvolti e le insidie di una premessa simile.
Dopotutto questo è certo un tema che stiamo attraversando nel nostro presente, cioè quello della tecnologia come surrogato dell’esperienza reale. Pensiamo alle intelligenze artificiali generative, alla loro capacità di replicare linguaggi, aspetti e voci, e quindi in teoria in un futuro prossimo anche di replicare i caratteri di un defunto. Eppure nella necessità argomentativa non c’è sempre la risoluzione espositiva, anzi. Another End sceglie allora di approcciare il tutto con una dolenza algida e sin da subito respingente.
Questo non è il domani in cui vorremmo vivere, chiaro. Ma è un domani che il film qualifica in un futurismo imploso nelle coordinate visive ed estetiche, ridotte a grigiori nebbiosi che tagliano fuori da qualsiasi campo l’aspetto prettamente sci-fi dell’opera. Quasi che fosse subito un’ammissione di distanza dall’anima di genere, come se fosse peccato abbracciarlo non solo come pretesto. Un atteggiamento così evidente e così repentino che derubrica immediatamente Another End all’altezza di un cinema d’arte europeo che lambisce le contaminazioni solo come mera scusa, come proiezione di un rimuginare riflessivo che si sciupa, in realtà, molto in fretta. Con due effetti: nascondere dietro le tende le implicazioni etico-morali della tecnologia (affidate per lo più al personaggio di Ebe, il meno riuscito) e trovare rifugio nel sentimento lacerante del dramma da camera, quello sì ben troppo conforme al cinema italiano.
Il punto è che questo perturbante trasmutato in perturbazione dell’anima non si insinua mai sottopelle. Il tono asettico, disperato e svuotato di ogni minimo accenno di calore non riesce mai davvero a porsi a discussione di un mondo spento – alcune spiccate scelte cromatiche e pulsazioni sonore non portano a nulla. Perché la conoscenza di quel mondo è del tutto negata da un copione (scritto a otto mani, Messina, Giacomo Bendotti, Valentina Gaddi, Sebastiano Melloni) che oscilla tra l’eccesso argomentativo, con tanto di slabbrati spiegoni, e un minimalismo che si limita a insinuare in un paio di occasioni questa o quella deriva.
L’emotività, battito a cui si appella Another End, resta comandata nelle intenzioni e stipata in asfittici elementi retorici, dove anche alcune intuizioni valide passano per teorizzazioni molto programmatiche. Come, ad esempio, la riattivazione della libido, e quindi del contatto fisico, tra Sal e Zoe che passa da una condivisione analogica in contrasto all’isolazionismo digitale. Il tutto è però stato appunto già ampiamente affrontato, codificato e metabolizzato da opere come Black Mirror (moltissime le somiglianze con il primo episodio della seconda stagione, Be Right Back), più lateralmente da Ex Machina di Alex Garland e in tempi recenti, e con risultati differenti, anche da film come Swan Song con Mahershala Ali, After Yang di Kogonada e persino Foe – Il nemico con Paul Mescal e Saorsie Ronan.
Si arriva, infine, caracollando ad un epilogo che quantomeno pare davvero riallinearsi con la testa e con il cuore a quel sentimento originario che fino a lì ha mosso a fatica gli ingranaggi. Eppure, anche in questa ultima occasione, c’è una postilla che non lascia andare il lutto lì dove vuole concludersi, strozzando una lacrima quasi perfettamente calibrata e che suggerisce come la morte sia davvero un problema che turba solo i vivi.
Another End è al cinema dal 21 marzo con 01 Distribution.