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Alessio Zuccari
The Warrior - The Iron Claw: recensione del film di Sean Durkin
Tags: jeremy allen white, the iron claw, zac efron
Quella di The Warrior – The Iron Claw è l’incarnazione della perfetta tragedia americana. Un’epopea drammatica consumata sotto la ricerca del successo costi quel che costi, nella totale abnegazione al prepararsi ancora e ancora e con il capo chino dinanzi all’autorità del padre dio padrone. «Gli credevamo» commenta in uno dei primi momenti del film Kevin Von Erich, interpretato da un Zac Efron che è arpione emotivo del film. «Amavamo nostro padre e amavamo il wrestling».
Sta già tutto qui il senso manifesto dell’opera di Sean Durkin, che oltre a mettersi dietro la macchina da presa scrive anche una sceneggiatura declinata alla sofferenza di una storia talmente vera nel suo dolore da dover essere addirittura ridimensionata rispetto alle vicende reali da cui trae ispirazione. Un dolore stretto in petto a quella che i membri della dinastia dei Von Erich chiamano maledizone. La loro maledizione, “la maledizione dei Von Erich”. Una famiglia di atleti professionisti in attività nel mondo del wrestling durante gli anni Settanta e Ottanta, conosciuta in lungo e in largo dentro e fuori il loro Texas dove sono osannati e fermati per strada. Ma anche compatiti: perché continuano a capitargli cose brutte, a partire dalla scomparsa in tenera età del primogenito, Jack Jr., presagio funereo che aleggia da lì in poi.
Lo script di Durkin la maledizione però non la nasconde mai. E’ fatta di due cose, amore e paura. Convivono sotto lo stesso tetto e hanno un volto: quello del patriarca Fritz Von Erich (Holt McCallany), uomo dalla statura del villain – da wrestler la sua gimmick, cioè il suo personaggio, era proprio quello del cattivo – pesante come il piombo e come il piombo altrettanto velenoso. I figli Kevin, Kerry (Jeremy Allen White) e David (Harris Dickinson) lo idolatrano e per lui salgono sul ring. Non che abbiano una scelta: si risponde sempre sì signore e si spera di restare in cima alle grazie dell’uomo, che valuta i figli in base a una scala di preferenza sempre pronta a cambiare ordine in base a chi rende di più, a chi si presta di più. Perché è quest’uomo ad affermare che una maledizione c’è e la si può contrastare in un solo modo: essere i migliori.
Curioso notare con una piccola digressione come l’ambizione, anzi fissazione, di questa figura per il raggiungimento del successo figliale sia in pratica dello stesso stampo di quella di Richard Williams in King Richard – Una famiglia vincente. Solo che lì il capofamiglia veniva celebrato al di sopra delle sue palesi opacità, tanto da far vincere l’Oscar a Will Smith nell’oramai celebre anno dello schiaffo a Chris Rock. A porre la differenza di percezione con il film di Durkin, dove Fritz è una testa del serpente riconosciuta come tale e che nessuno dei figli, talmente sono indottrinati, ha la forza di tagliare, è quindi l’effettiva sopravvivenza fisica e mentale. Il raggiungimento del premio nella spietata royal rumble a stelle e strisce. E cioè del denaro. Come a dire che nel giudizio tra il bene e il male ci passa una banconota verde. Lo avevamo premesso, dopotutto è una storia americana e sull’America.
Si capisce dunque abbastanza in fretta anche come The Warrior – The Iron Claw non sia propriamente un film sportivo. Lo sport c’è e c’entra, ma quasi mai si pone accento sul raggiungimento dell’obiettivo in quanto tale. O meglio: quasi mai gli interessati in prima persona a raggiungere quell’obiettivo, i tre figli, discutono la possibilità di andare a vincere la cintura di campioni. Lo fanno e agiscono in risposta all’imperativo del genitore comandante.
Allora il wrestling, che eppure è coreografato dagli stessi protagonisti con un grande senso della pressione muscolare e della tensione nervosa, si fa veicolo di altro. Si prende a territorio di discussione dove si incontrano il malanno e la sua cura. O forse più corretto sarebbe dire dove si mette in evidenza il confine di uno sport costruito interamente sul doppio di una performance autogenerante: quella attoriale, fatta di accordi, maschere, affari e messa in scena dove la pellicola avrebbe potuto offrire anche un grammo in più; quella atletica, fatta invece di sacrificio, di sudore e sangue reali. Insomma, allargando il campo della metafora, il wrestling preso come discussione sulla rincorsa continua tra la vita e la morte. Professionale, ma non solo.
Perché con ciò che muore sul ring deve fare i conti chi resta a vivere, e sceglie di farlo, fuori dalle corde del quadrato. Ed è qui l’aspetto nello stesso frangente più riuscito e più debole del lavoro del regista. Nel piegare quella che ha l’apparenza di una parabola sportiva alla dimensione di una spirale tragica che dal personale risuona sul collettivo. Il descrivere il circolo vizioso di un padre, che è l’assoluto di una nazione, che in nome del merito e dell’eccellenza divora la propria prole per negare la sua costante inadeguatezza. E quando racconta questo eterno ritorno da cui non c’è scampo, la pellicola disperde un po’ l’accento sui suoi personaggi, ne perde a tratti le singole grida d’aiuto.
Con il passare delle sue quasi due ore e un quarto The Warrior – The Iron Claw si fa in virtù di ciò sempre più progressivamente una pellicola dal tono umbratile. Nel senso stretto della parola, considerato come al susseguirsi delle tragedie che colpiscono i Von Erich la regia di Durkin scelga di relegare Kevin nelle penombre e nei chiaroscuri, testimone e superstite soggiogato alla gravità di una catastrofe sulla quale è stato plasmato per non avere il controllo.
Efron porta bene lo smarrimento nei propri occhi, che si condensano di reverenza mista a rancore quand’è nei pressi di Fritz e di insicurezza quando invece è vicino alla moglie Pam (Lily James) e al loro neonato. Questo nonostante il film abbia da gestire una mole di drammi così ingombrante da rischiare di farlo scivolare nel dolente. Non lo fa mai, ma ad alcuni momenti particolarmente commoventi come quello della madre (Maura Tierney) che non vuole indossare lo stesso vestito nero per due volte, ne fa arrivare in maniera meno efficace altri come lo è ad esempio uno slancio, verso il finale, un po’ troppo osato “nell’aldilà”.
The Warrior – The Iron Claw si sostiene tutto sommato abbastanza bene sui corpi provati e massacrati dei suoi interpreti, che nella loro buona intesa tratteggiano la delicatezza di una fratellanza destinata a impattare con i peccati di cui sono gli immacolati e inconsapevoli figli.
The Warrior – The Iron Claw è al cinema dal 1° febbraio.