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Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino con Zendaya
Alessio Zuccari

Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino con Zendaya

Tags: Challengers, Josh O'Connor, luca guadagnino, Mike Faist, zendaya
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Alessio Zuccari

Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino con Zendaya

Tags: Challengers, Josh O'Connor, luca guadagnino, Mike Faist, zendaya

Il regista italiano firma un’opera tesa tra la commedia e l’erotismo, venata da una gustosa frivolezza e con tre interpreti stratosferici.

Se il basket è lo sport più videogenico e il calcio il più irrappresentabile, da oggi il tennis è quello più sexy. Il glamour lo contraddistingue: ha i circoli più elitari, i pubblici più in tiro, le tutine più firmate. E questo è il campo da gioco di Challengers, ménage à trois cinematografico tra Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist con la direzione del sempre più rampante Luca Guadagnino hollywoodiano. Un film che è un tripudio di corpi tesi e muscolari, feriti e compromessi. Corpi sudati, bruciati dal sole e pieni di odori. È il grande pregio del cinema di Guadagnino, far percepire l’impercepibile dei profumi e soprattutto dell’acre, persino del puzzo, lì dove si sintetizza la miscela di voglie e di fatiche. Questo bisogna aspettarsi da Challengers perché questo Challengers è: un film frivolo, nell’accezione positiva del termine, tutto in sensazione.

La trama di Challengers: tennis, erotismo e personaggi sfacciati

Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino con Zendaya
Photo Credits: Warner Bros. Italia

Justin Kuritzkes firma una storia di detestabili eppure irresistibili codipendenze, rimpallata su più di tredici anni in un turbinio di avanti e indietro che raccontano da dove vengono e cosa diavolo vogliono l’uno dall’altro questi tre giocatori di tennis. Art Donaldson (Faist) e Patrick Zweig (O’Connor) sono figli di papà. Art è il precisino: parole al posto giusto e testa a Stanford. Patrick è lo scapestrato: spaccone ed eremita davanti alle svolte della vita che contano. Sono amici, hanno forse condiviso una fantasia sessuale, giocano insieme e un giorno finiscono per desiderare la stessa ragazza. È Tashi Duncan, promessa del tennis elegantissima, attraente. Il «tipo di tutti». Chi, se non Zendaya? Cioè la diva che sta affettando trasversalmente Hollywood e la sua piramide di fama.

Stacco, anche se a dire il vero Challengers da qui comincia. Art e Patrick diverso tempo dopo sono uno contro l’altro in un torneo di quelli che non contano quasi nulla. Eppure, qui, sotto gli occhi di Tashi che intanto ha sposato Art e si è ritirata dallo sport per un grave infortunio, questa partita è il match point del grande irrisolto del film. Il grande pendolo le cui oscillazioni sono cadenzate punto dopo punto, rese palesi nei caratteri di tre individui a loro modo talmente infantili, odiosi ed infelici da non poter che risultare simpatici in questo loro fare del tennis l’unica relazione che gli pompi adrenalina nelle arterie. In un’opera pensata così, fatta tutta di scarti e svicoli tra personaggi prima giovanissimi e poi un po’ meno giovani, trafigge la scelta degli interpreti, di un azzeccato che è dire poco.

Passa davvero tutto da qui. Da questa chimica scomposta, dove il remissivo di Faist fa quasi compassione, il machiavellico di Zendaya prudere i polsi e lo sfacciato di O’Connor ricredere sulla possibilità che un attore come lui potesse avere una tale faccia da schiaffi. Guadagnino lavora moltissimo sulla loro direzione prima che su tutto il resto. Lo si vede e lo si decreta davanti al cruciale bacio a tre che li coinvolge, di diritto già tra le scene più iconiche del cinema recente. Realizzato con un erotismo fluido più giocoso che sensuale e calibrato su uno spostamento di prospettiva notevole, sunto limpido e coerente di ciò che Challengers vuole essere e in fondo è. Sarebbe a dire un triangolo che ha poco da nascondere, agli spettatori e ai personaggi, vissuto con un umorismo figlio di un brio ammiccante, provocatorio.

Un vortice elettrico e sfrenato, tra lo sciocco e il beffardo

Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino con Zendaya
Photo Credits: Warner Bros. Italia

Ma Challengers non sarebbe Challengers se non ci fosse anche la martellante colonna musicale di Trent Reznor e Atticus Ross. Il lavoro dei due compositori è la scossa elettrica che fa il paio in regia con Guadagnino e con lui avvita corpi e umori, fino a colare giù a picco in un imbuto in cui sotto ai piedi finisce per mancare persino il terreno. Letteralmente, come in una delle tante inquadrature impossibili a cui si affida il regista, che in particolare nell’ultimo terzo del film è colto da un’euforia epilettica e così piena di idee da porsi ai limiti del bulimico. Soggettive, pov, ralenty esasperati, sovraimpressioni di grafiche, ma ancora soggettive non si sa di chi, pov stavolta della pallina da tennis che fa su e giù da una parte all’altra del campo.

Un saliscendi che a un certo punto di Challengers si fa sfrenato, incontenibile, ai limiti dell’irritante. Ma si ferma giusto un attimo prima di infastidire, quel tantino che separa lo stordimento dallo sbuffare. Ti vuole lasciare con la testa confusa quando cerchi il mistero in questo triangolo tra l’amoroso e il competitivo. Poi ti fa rendere in realtà conto di quello che ti ha già detto, che di mistero qui non ce n’è affatto, che i suoi vettori sono tutti lì, tra l’ipnotico e lo sciocchino, tra il volto crepato di Faist e il sorriso beffardo di O’Connor. Un mistero, a dire il vero, persiste. Ed è il perché anche un film a così alti giri e gustosamente epidermico debba durare più di due ore suonate. Ma questo è uno di quelli che importano fino a un certo punto e che, ci rendiamo conto, purtroppo non scioglieremo oggi. Allora chi se ne frega e torniamo a farci stordire da questo innamoramento sbilenco e scivolato nel desiderio continuo.

Challengers è al cinema dal 24 aprile con Warner Bros. Italia.

Guarda il trailer ufficiale di Challengers:

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