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Alessio Zuccari
Heart of Stone, la recensione del film su Netflix con Gal Gadot
Tags: gal gadot, heart of stone, netflix
Le grandi stelle hollywodiane spostano sempre meno in quello che è il computo dell’appeal cinematografico di un film. Sono ancora un tassello fondamentale da accaparrarsi e inserire nel puzzle, ma un gradino sotto la nuova fenomenologia del senso dell’evento, del marketing costruito sull’hype e, guardiamo al doppio caso Barbie – Oppenheimer, anche sul meme. Chi sembra invece puntare ancora in tutto e per tutto sui divi è Netflix, che nella sua logica della quantità a ogni – letteralmente – costo e di una pubblicità spesso non proprio capillare, fa affidamento sui grandi volti per conteggiare qualche milioncino di visualizzazioni in più una volta che il prodotto arriva nella home della piattaforma.
Heart of Stone appartiene a questa categoria dei progetti-star (che in questo caso Netflix non produce direttamente, ma distribuisce), ragionati su misura dell’interprete protagonista la cui faccia occupa il 90% della locandina e di tutto il materiale promozionale – insomma, proprio come avveniva un tempo. E in questo caso ha le sembianze di Gal Gadot, che appartiene a quel parco attori (di estrazione popolarissima, come Ryan Reynolds e Dwayne Johnson, con i quali è in Red Notice, ma pure Chris Hemsworth) ai quali Netflix si è legata a suon di contratti verdissimi. Il genere di riferimento in cui poi è agile collocarli è quello di film adrenalinici, action, spionistici, possibilmente con una punta di ironia che attraversa il racconto.
La pellicola scritta da Greg Rucka e Allison Schroeder per la regia di Tom Harper non fa eccezione a questo assunto. Stone (Gadot) è infatti un’agente segreta del MI6 britannico alle prime armi. Collabora con una squadra, composta da Parker (Jamie Dornan), Theresa (Jing Lusi) e Max (Paul Ready), per ottenere informazioni sul codice di un super computer in grado di hackerare ogni tipologia di sistema e quindi di mettere a soqquadro equilibri geopolitici ed economici. È una linea narrativa sufficientemente generica da non suscitare eccessivi grattacapi, anche accostabile per certi versi a quello che è il filo conduttore di Mission Impossible: Dead Reckoning Parte Uno e di quella che sarà pure la Parte Due, con al centro una grande entità digitale da lasciare sopita.
Perché nel guardare a questa minaccia subdola e intangibile, così come al rovescio del film che vede in realtà Stone essere un’agente non del MI6 ma del Charter, un’agenzia sovranazionale, Heart of Stone si pone a dire il vero a inquadrare alcuni punti cardine della contemporaneità. Su tutti evidenzia il ruolo di subalternità al quale vanno incontro gli stati e le loro emanazioni governative, ridotte a un colabrodo, a un geriatrico in naftalina, a un qualcosa a cui fare da balia, sottoposte a poteri, minacce e interessi economici sempre più trasversali.
Gli stati sopravvivono come entità puramente geografiche da percorrere e intercambiare come scenario (quelle attraverso le quali si muovono i protagonisti del film, tra le Alpi, Lisbona, l’Africa, l’Islanda), ma faticano a riconoscersi nel posizionamento dei nuovi equilibri di forza dove il digitale – e quindi il tech e quindi le multinazionali – è transnazionale e non conosce barriere o confini, che già sono virtuali di loro.
Il miglior pregio di Heart of Stone è di portare avanti questo concetto senza inabissarsi in teorizzazioni che non può permettersi, ma soprattutto si mantiene composto, pulito e scolastico di gusto nella propria cornice di spy action. Fa tutto quello che deve fare – i giri per il globo, le sparatorie, i rovesciamenti di fronte, l’alleggerimento umoristico – senza sbilanciare il piatto della bilancia e restituendo quindi un intrattenimento meno da pilota automatico rispetto a quello a cui Netflix ci ha purtroppo abituato con questa tipologia di operazioni. Lo scotto da pagare è quello che assolve allo scopo del progetto-star di cui si diceva in apertura, e quindi i tanti primi piani e gli sguardi intensi da dedicare all’interprete protagonista che di certo non buca lo schermo e non brilla affatto per carisma.
Ma qui emerge la struttura che le è costruita attorno, essenziale ma solida, ad esempio ricolma di effetti visivi eppure in maniera più tollerabile, ed integrata da un punto di vista registico, di tanti suoi gemelli ben più plasticosi. Heart of Stone è intrattenimento a basso coefficiente di impegno, ma con un pizzico in più di organizzazione rispetto al mare magno da cui è circondato.