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Alessio Zuccari
How to Have Sex: recensione del film vincitore a Cannes
Tags: how to have sex, mia mckenna-bruce, molly manning walker
Tara, Skye ed Em sono tre amiche sedicenni che partono assieme per una vacanza estiva. La terra di conquista è Creta, l’isola greca che nei mesi più caldi dell’anno si fa colonia della gioventù di mezza Europa del nord. Loro sono inglesi e scelgono Malia, cittadina a pochi chilometri dal capoluogo dell’isola, Heraklion. Ecco, per parlare di How to Have Sex partiamo da questo nome di città: Malia.
Malia, malìa, che in italiano significa una fattura, un incantesimo, un fascino che aleggia come un incanto e talvolta è mosso dalla mano invisibile di forze maligne. Un qualcosa che attrae, ma può nascondere un’insidia. Ed è utile iniziare a discutere da qui l’esordio al lungometraggio di Molly Manning Walker, classe 1993 vincitrice con il film del premio Un Certain Regard al Festival di Cannes 2023, perché è questa la traiettoria che l’opera scegliere per configurare il suo sghembo coming of age.
How to Have Sex ha infatti l’aspetto e la struttura di una fiaba inacidita. C’è una protagonista che sogna l’avventura perfetta, ci sono le sue compagne e ci sono gli antagonisti. Su tutto è calato l’incantesimo, la promessa di un viaggio i cui colori sbiancano un poco a poco. Le tre brindano alla «miglior vacanza di sempre» e a dei giorni pieni di sesso. Ma mentre Em (Enva Lewis) e Skye (Lara Peake) hanno già esperienza, Tara (Mia McKenna-Bruce) è l’unica del gruppo ancora vergine.
Ed è su di lei che si tende un reticolato di attese e pressioni che si mescolano all’oggettivazione e sessualizzazione di una vacanza, e di un luogo, dove tutto si pone a metafora dello scopare a ogni costo. Una schermaglia di ormoni in contrasto su cui converge la traumatica caduta dell’adolescenza. La caduta, cioè, di un’innocenza sottolineata dalla collana con la scritta “angel” che Tara porta sempre al collo. Ma ad essere il principale ricettacolo di questi contrasti sono proprio il volto e il corpo di McKenna-Bruce (bravissima, davvero), discusso in lineamenti che racchiudono allo stesso tempo la fanciullezza e il suo sciuparsi, la maturità sessuale e la sua impreparazione.
Walker resta allora addosso a Tara, ai suoi grandi occhi e alla sua voce graffiante quasi per tutto il tempo, ad eccezione di un momento che affetta il film in due. Che lo divide cioè negli spaccati di un sogno decostruito tra il prima (la parte del film più riuscita, nella triangolazione amicale tra le tre ragazze e i loro tre caratteri, aspirazioni, delusioni) e il dopo un’apocalisse che arriva a sfaldare tutto, ma senza il frastuono della detonazione.
In questo netto scandire, How to Have Sex si rende un’opera molto leggibile, forse anche un pelo troppo irrigidita nei dettami del racconto didattico, che comunque non rinuncia mai ad utilizzare una regia dinamica e pervasa del distorto senso del reale della gioventù. Usa la grammatica di un’adolescenza immaginata a mille, stimolata dai colori fluo e dai ritmi erotici e pelvici della musica techno. Una grammatica attraverso la quale poi mette sul banco d’accusa le dinamiche di un maschile abusante e sì, figlio della pervasiva cultura patriarcale. Come quando uno dei due ragazzi che le amiche incontrano (Samuel Bottomley e Shaun Thomas), nemmeno ventenne, già assurge alla figura del padre padrone, al fare proprio il verbo del paterno imperativo quando a Tara impone il “bed time”, l’ora della ninna.
Il lavoro di Molling è insomma orientato a farsi piccolo bignami di un’educazione sentimentale ed emotiva ragionata a misura del suo pubblico ideale, gli adolescenti. Ragiona attraverso i loro ritmi e le loro pulsioni, prendendo sì a uso personaggi che sono archetipi (il buono inaspettato, l’amica premurosa, l’amica serpente), ma allo stesso tempo ponendo in evidenza le tante insidie che si celano nelle malìe che si mascherano da gioco, da scherzo, da silenzio assenso. E allora mette in guardia e ammonisce il comportamento tossico che confina molto da vicino con molestia e violenza, mentre propone anche l’idea della tutela, della rete di sicurezza e del safe space. Tutto questo senza moralismi e filtri di sorta, cosa che rende How to Have Sex un riuscito racconto della generazione teenagers post MeToo.