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Cristiana Puntoriero

My Policeman Recensione: com'è il film con Harry Styles su Prime Video?

Tags: harry styles, my policeman, my policeman recensione
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Cristiana Puntoriero

My Policeman Recensione: com'è il film con Harry Styles su Prime Video?

Tags: harry styles, my policeman, my policeman recensione

In streaming su Prime Video dal 4 novembre, My Policeman è il film di Michael Grandage presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival 2022 e successivamente al BFI London Film Festival.

Guardare My Policeman sembra come essere difronte a un quadro esposto in un museo. Ci si ferma ad osservarlo con attenzione, mettendoci il giusto impegno a capire l’essenza finale a cui il suo artista aspirava, apprezzando la tecnica sapiente, le pennellate che esaltano i colori. E a vederlo bene ci si rende conto che in effetti tutto è come dovrebbe essere, e per i secondi a cui abbiamo poggiato il nostro sguardo qualche sussulto ce lo ha pure regalato. Eppure, una volta tolti gli occhi di dosso, già ce lo siamo dimenticato, forse la prossima opera sarà migliore, o lo è stata invece quella prima.

Il triangolo, forse.

Non a caso dopotutto, l’adattamento per Prime Video del romanzo omonimo di Bethan Roberts è costellato da visite al museo e serate all’opera, libri di storia dell’arte sfogliati in biblioteca e cenni a William Turner, un milieu culturale in cui il protagonista Tom (Harry Styles), poliziotto illetterato della Brighton degli anni ’50, cerca di colmare il vuoto di bellezza e sapienza avvertito nell’incontro fatale con il curatore d’arte Patrick (David Dawson), un uomo dalla raffinata sensibilità artistica, costretto a nascondere la propria omosessualità alla legge britannica che in quegli anni considerava l’amore fra due uomini un reato.

Se due uomini non possono amarsi allora nella vita di Tom arriva, o è già arrivata, Marion (Emma Corrin), un’insegnate amorevole e follemente innamorata, con cui l’agente prova a dimenticare e a camuffare quel sentimento proibito, trascinandosi in un matrimonio infelice durato fino in tarda età con un esito consolatorio che il film di Michael Grandage ci resoconta in un salto temporale della versione dei tre ormai adulti.

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Photo credits: Prime Video

Don’t Worry, Marion

Period drama convenzionale, contrito in un manierismo british non solo per ambientazione ma per educazione sentimentale, My Policeman inquadra la storia del ‘triangolo forse’ puntando gran parte della sua attrazione sull’uomo divo del momento Harry Styles. Non ancora scampato dalle recensioni negative del suo precedente burrascoso Don’t Worry, Darling e del corollario veneziano della sua premiere a dir poco chiacchierata, attorno al cantante e aspirante attore è ruotata infatti la promozione del film, suscitando la brama di un coté di fan in fibrillazione nel vederlo stavolta nella veste dell’amore impossibile e, ipoteticamente, anche un po’ erotico. Ma fra la recitazione e la performance sul palco c’è un passaggio fondamentale che la pop-star non ha considerato nel suo nuovo percorso da poco intrapreso.

Guardando il suo Tom, giovane uomo (il quale dovrebbe essere) consumato da un tormento omoerotico inesprimibile e soffocato, si rivela lampante quanta mole di lavoro esiga il mestiere dell’attore, professione che richiede una certa dose di introspezione, immedesimazione, controllo, saggezza per far scomparire il sé nel proprio personaggio. Tutti aspetti che Styles qui non ci restituisce, non reggendo la padronanza della scena dei suoi rispettivi colleghi, su tutti il bravissimo David Dawson.

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Photo Credits: Prime Video

Il passo avanti a metà di My Policeman

Non affievolendo mai l’accecante luce da celebrity che contorna il wannabe attore indie, My Policeman abbaglia il pubblico nel desiderio oggettificato dell’uomo imprendibile e sul quale, pubblico, Marion e Patrick proiettano (invano) le proprie fantasie. Su quella sua stessa inafferrabilità, tuttavia, si eclissa il potenziale di un racconto piatto, rimasto al nome del cast e non all’effettivo valore narrativo e registico, fin troppo di risoluzione classica per evolvere le aspirazioni di un cinema queer e mainstream che sappia fare un passo avanti nel pudore senza il bisogno di proteggersi.

Solamente in un paio di sequenze audaci ma mai esplicite, dove ancora una volta si tenta di velare la passione, la carnalità, la concretezza del sofferto in un formalismo protocollare dove tutto dev’essere bellezza, compostezza, aspirazione all’alto, My Policeman rimane nella mediocrità del vorrei ma non ne ho il coraggio, e che deve gran parte di tutto (o niente) a Harry Styles. Rimane da chiedersi se non ci fosse stato lui sarebbe stato meglio. O se stavolta il sopravvalutato è lui o il romanzo.

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