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Alessio Zuccari
Saltburn: recensione del nuovo film di Emerald Fennell con Barry Keoghan e Jacob Elordi
Tags: barry keoghan, Emerald Fennell, jacob elordi, saltburn
Emerald Fennell è stata il talento che in molti non avevamo visto arrivare. Una carriera modesta nella recitazione, un ruolo secondario in The Crown e poi, bam!, Promising Young Woman. Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura nel 2021 e plauso generale per quello che, tra qualche critica, non ha impiegato molto a essere identificato come film manifesto di un femminismo rabbioso e dalle tinte pop. Da poco passati i 35 anni, Fennell aveva allora davanti a sé la possibilità di fare un po’ quello che le pareva con il suo secondo film. E cosa fa? Fa Saltburn. Cos’è Saltburn? Un eccesso.
Sì, un film di eccessi, di carni e di sudori tutti condensati assieme nello spazio di immagini (quasi) scandalo. Saltburn, però, è anche un film meno interessante del precedente. Ci mostra certo ancora in un’occasione come Fennell, che scrive e dirige sotto anche la supervisione in produzione di Margot Robbie, sappia affascinare e attrarre. I corpi del suo film sono corpi pieni: da stringere, baciare e mordere.
Un po’ come in fondo vorrebbe fare e arriva a fare Oliver Quick, studentello di Oxford goffo e con la borsa di studio in cui Barry Keoghan si stringe dietro l’occhio velenoso e che viene accolto nella cerchia d’élite di Felix Catton. Lui sì ricco, alto, bello, tutto muscolo e sorrisi davanti al quale nessuno resiste. E nessun altro attore in questo momento potrebbe azzeccarne il magnetismo se non il fenomenale Jacob Elordi – che, dopo Euphoria, di recente ha vestito i panni di Elvis Presley in Priscilla e che la regista Sofia Coppola ha dichiarato di aver scelto perché nessuno come lui faceva voltare le persone quando entrava in una stanza.
Oliver e Felix, Felix e Oliver. Solo a vederli assieme non hanno senso, ed eppure si ritrovano entrambi per la pausa estiva a Saltburn, la tenuta aristocratica della famiglia di Felix. Forse per Felix questo Oliver è il passatempo dell’anno, come insinua la problematica sorella Venetia (Alison Oliver). Ma forse Oliver, che racconta di avere alle spalle una famiglia devastata dalla droga e che davvero presto si adegua ai tenori dei benestanti, nell’ammaliare i parenti di Felix – Rosamund Pike, Richard E. Grant, Archie Madekwe – cela più di un divertimento.
Ma Saltburn, si diceva, dietro la tela di un fascino declinato tutto al 2006 – l’anno di ambientazione del film – mostra meno nervo che in precedenza. Sia chiaro: Saltburn è anche consapevole di essere un’opera di epidermide. Sta infatti tutta là sopra l’efficacia di una danza vacua così come sono i vacui gli spettrali e un po’ squallidi inquilini di questo castello immacolato immerso nella campagna inglese. C’è un po’ di ironia e c’è un po’ di satira nelle posture, nei gesti, nei rituali e nelle parole di nobili sostanziati dal loro essere superflui e intimamente decadenti.
Il modo in cui Fennell li tratteggia e la maniera in cui li porta a collidere con l’ingresso in scena dell’anomalia-Oliver è, però, un vezzo. Saltburn è un gioco di società: un lupus in fabula tanto spietato e divertito quanto ridotto ai minimi termini di un meccanismo ludico di fondo abbastanza esile. A dargli spessore c’è il rilievo delle performance. Dell’attrazione gravitazionale di Elordi si è detto, ma da notare è forse e soprattutto la smorfia plastica di un Barry Keoghan mattatore e indecifrabile. Un attore che fa sua bravura l’essere un enigma illeggibile, scatola cinese di personalità messe al servizio di un film dove lo si vuole ancora più che in passato – ricordate Il sacrificio del cervo sacro? – maschera su maschera.
Del personaggio di Oliver è il punto di vista, del suo personaggio è il racconto di una machiavellica classe media che si insinua tra gli specchi e tra i riflessi (ce ne sono molti e il film ci gioca sopra) di un luogo che è l’emblema dell’opera e della pantomima che la regista ci piazza dentro.
E in questa occasione Fennell si concede un estro che risponde solo ed esclusivamente a se stesso, alla sua voglia di sprigionare il liquido del cinema e la sua euforia macabra come nell’ipnotico balletto sul quale cala il sipario. Saltburn è insomma da prendere per quel che sceglie di essere: sia per chi si tuffa ammaliato nelle sue calure, sia per chi si farà storcere il naso davanti ai suoi vapori acri e superficiali.
Saltburn è dal 22 dicembre in streaming su Prime Video.