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Alessio Zuccari
Sex Education 4: la recensione della quarta stagione su Netflix
Tags: netflix, sex education 4
Il problema con le serie teen sta nel fatto che i protagonisti crescono. Lo fanno a vista d’occhio, episodio dopo episodio, giorno dopo giorno. Appunto come accade agli adolescenti. Crescono, diventano grandi e capisci che si avvicina un momento, lì in attesa dietro alla curva, in cui devi salutarli. Fai ciao con la mano. Tocca lasciarli andare. Anche se in realtà vorresti rimanere accanto a loro, a quelle peripezie in cui ti hanno coinvolto, in quelle scuole, in quelle stradine, in quelle case in cui t’hanno fatto entrare. Tocca dire addio anche a Sex Education. Si sapeva già da un po’. Prima molti interpreti avevano annunciato che non sarebbero tornati in una eventuale quinta stagione, poi Laurie Nunn, creatrice della serie su Netflix, ha confermato che tutto si sarebbe concluso con il quarto volume.
Allora eccoci qui. Non c’è più il Moordale, il liceo i cui corridoi abbiamo bazzicato sin dal 2019, chiuso per inagibilità al termine della precedente stagione. Non ci sono molti volti noti della serie, sparpagliati altrove con questa trovata narrativa. C’è un nuovo spazio scolastico, il Cavendish, luogo ultra-inclusivo di istanze identitarie e autogestito dagli studenti. Ci sono le new entry chiamate a colmare i vuoti lasciati nel cast. C’è ancora questo spicchio di Inghilterra sospeso nel tempo di un’estetica analogica anni Novanta che incontra gli smartphone e i social, sempre più incastonato tra i boschi di una fiaba dove tutto è possibile, tutto è dialogabile, tutto si può risolvere.
Ci sono soprattutto Otis (Asa Butterfield), Maeve (Emma Mackey), Eric (Ncuti Gatwa), Jean (Gillian Anderson), Adam (Connor Swindells), Aimee (Aimee Lou Wood), Ruby (Mimi Keene), reduci di un mondo passato che si portano però dietro molti dei loro problemi e delle loro insicurezze. E Sex Education è il posto che sin dal primo istante si fa specchio dove riflettersi senza pregiudizio, dove è ribadito, momento per momento, l’importanza del comunicare come grimaldello alla comprensione delle differenze che caratterizzano la nostra società.
Una serie che si pone sempre al passo con i tempi, aggiornando il proprio linguaggio (i podcast, il “ghosting”) e le proprie battaglie da portare all’attenzione del pubblico (la definitiva apertura al queer, ai discorsi sulla transizione di genere). Lo fa con la prima stagione che scarta con decisione rispetto a quanto affrontato in precedenza, che capisce di aver bisogno di uno scossone e rivoltare un po’ tutte le carte in tavola. Una scelta ambiziosa che probabilmente era anche l’unica scelta percorribile, al netto di una inevitabile frenesia da fine serie, dove tutto deve puntare alla propria conclusione.
Qualcuno si percepisce già lontano, come Maeve in terra statunitense scissa tra la passione per la scrittura e l’amore per Otis, invece alle prese con la sfida a O (Thaddea Graham), studente terapeuta del Cavendish. Qualcuno cattura l’attenzione più di altri, come nel caso di Eric e del suo travagliato rapporto con la fede (con gustoso cameo di Jodie Turner-Smith) e con la comunità d’origine, oppure di Adam e del tragicomico riavvicinamento alla figura paterna (Alistair Petrie).
Ciò che più conta è che Sex Education è un bulldozer glitterato – in questa stagione più che mai – pronto a fare macerie dei tabù. Ha solo una missione in testa: «provare a rendere il mondo un posto migliore». Detto da chiunque altro parrebbe quasi un’ingenuità da pacca sulla spalla, ma che affermato ad alta voce da questa serie è solo l’ennesima dichiarazione d’intenti di un progetto che ha provato davvero a rivoluzionare un certo modo di dialogare con i teenagers, suo pubblico di riferimento – ma non solo loro. Insegnando a incuriosirsi, a intrigarsi, a chiedere “come stai?”, ma anche il consenso durante un rapporto sessuale.
Quindi poco importa se l’ultima stagione tenta di contenere più di quanto possa realmente risolvere appieno fino in fondo. Perché ciò che più conta è accorciare le distanze. Ciò che conta è colmare la voragine dove sprofonda l’intolleranza, l’indifferenza, l’ignoranza. Sex Education fa trovare nel mezzo, pone il confronto attraverso il suo tipico umorismo che è sempre risposta a un dolore o a una sofferenza. Sex Education ha fatto e ci ha fatto bene. Noi ne siamo grati, e anche se questo sì, ora fa un po’ male, adesso abbiamo anche imparato a lasciare andare.