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priscilla recensione film sofia coppola
Alessio Zuccari

Venezia80 | Priscilla: recensione del film di Sofia Coppola

Tags: Priscilla, sofia coppola, venezia80
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Alessio Zuccari

Venezia80 | Priscilla: recensione del film di Sofia Coppola

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La regista statunitense torna con un nuovo ritratto di donna, tracciando le traiettorie di un desiderio femminile frenato e zittito all’ombra della gigantografia di un uomo.

Priscilla Beaulieu ha quattordici anni quando incontra per la prima volta Elvis Presley. Lei è una ragazzina al primo anno di liceo, lui già il musicista che cambierà per sempre il mondo della musica. Di Elvis, della sua arte e dei suoi tormenti ci ha parlato Baz Luhrmann nel suo caleidoscopico film. Di Priscilla, del suo matrimonio e della sua messa in ombra ci racconta invece Sofia Coppola, che scrive e dirige l’omonima pellicola adattata a partire dall’autobiografia della donna, Elvis and Me.

Una curiosa coincidenza che questi due ritratti, così differenti tra di loro e così aderenti nella forma e nella sostanza ai due coniugi che vanno ad inquadrare, si passino il testimone a poco più di un anno di distanza. Nell’avvicendarsi in questo ordine cronologico, Priscilla si fa inevitabile controcampo di un femminile incastrato nella gigantografia di un artista ingombrante. Coppola è però interessata al privato e alle sue traiettorie relazionali, alle sue curve ripide. È interessata alla donna e all’uomo, a discutere il punto di vista di un femminile costretto: costretto a maturare, abbellirsi e crescere in una gabbia; costretto a rinunciare a carriera e personale vita pubblica; costretta a cedere il desiderio.

Traiettori di desiderio

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Photo Credits: Vision Distribution

Ecco, sul desiderio si gioca tutto il senso del film presentato in Concorso nella selezione di Venezia80. Ed è un discorso fondamentale quello che qui articola la regista. Da una parte prende la morbidezza dei lineamenti di Cailee Spaeny per interpretare una bambina che si siede davvero molto presto al tavolo dei grandi. Dall’altra la pone in balìa della condizione di una lotta impari (basti guardare al lavoro fatto sulla corporatura minuta di Spaeny) in cui sono questi grandi a scegliere per lei e per il suo desiderio. Questi grandi mercanteggiano in una stanza – di soli uomini – quando c’è da decidere se Priscilla possa o meno frequentare lo scapestrato Elvis (il magnetico Jacob Elordi).

Questi grandi, Elvis stesso, ne anestetizzano con ipocrisia anche il desiderio sessuale, suscitato dai tanti ancheggiamenti sul palco e nel privato della camera da letto messo in ghiaccio. Tenuto a bada e cristallizzato nei tratti di porcellana da preservare, da accarezzare, talvolta da schiaffeggiare in quello che è un rapporto da consumare solo nello sguardo. Da consumare insomma nell’addobbo, nel vestire, svestire, truccare una bambolina oggetto dell’unico desiderio imperante, ovvero quello di un Elvis estremamente puberale.

Un Elvis circondato sempre dai compagni di gioco e dalle tante, troppe pastiglie, con un vuoto materno mai colmato che il film evoca come grande voragine sullo sfondo. Il contorno forse meno lusinghiero mai fatto nei confronti di Presley, qui appunto solo uomo, prima giovane fascinoso e delicato e poi maschio impollinatore e legislatore, già marionetta nelle mani del Colonnello, il suo manager-carnefice che ne decreterà il precoce declino.

Un film asciutto e lucido

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Photo Credits: Vision Distribution

È sobria e asciutta la maniera in cui Coppola traccia la nascita e di una storia d’amore complessa e contraddittoria – Priscilla Presley, quella vera, sottolinea sempre quanto quell’amore ci fosse, ci sia stato e sempre rimanga, nonostante le strutture di controllo e d’abuso che l’opera chiama e pone come tema. Una relazione che copre l’arco di circa dodici anni, vissuta per lo più nelle stanze di una Graceland lontana dalla cacofonia visiva e sonora che la popolava ad esempio in Elvis.

Priscilla è un’opera molto accorta nel bilanciare la tenerezza e gli abissi, con una regia che calibra il punto di vista, che pone sempre al centro la sua protagonista, i suoi silenzi, la sua repressione e i suoi occhi guizzanti, anche quando la mette all’angolo di un rapporto sgretolato anno dopo anno. In alcuni frangenti e in alcune soluzioni non è difficile scorgere il richiamo a Marie Antoinette, film che con Priscilla condivide l’evidente punto di contatto di un femminile frenato, zittito, non interpellato.

Rispetto a Marie Antoinette, questa qui è un’operazione più essenziale e meno estrosa, forse un pelo sfilacciata nel percorrere le tante sfumature di un orizzonte temporale ed emotivo così esteso. Eppure la capacità di Coppola di descrivere la trinità bambina-donna-bambola è di grande lucidità e grande attualità, tassello coerente con il percorso artistico di un’autrice che guarda al femminile come nessun altro.

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