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Jacopo Iovannitti

Air – La storia del grande salto, recensione del film di e con Ben Affleck

Tags: air film recensione, air storia di un grande salto
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Jacopo Iovannitti

Air – La storia del grande salto, recensione del film di e con Ben Affleck

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Successo globale al cinema dal 6 aprile, Air – La storia del grande salto è esattamente “un grande salto”.

GUARDA IL TRAILER DI AIR – LA STORIA DEL GRANDE SALTO

Air – La storia del grande salto è ora al cinema, grazie a Warner Bros. Italia. Diretto da Ben Affleck e con Matt Damon, il regista stesso, e nomi del calibro di Jason Bateman, Chris Tucker, Chris Messina e Viola, segue la storia di Sonny Vaccaro, anticonformista manager della Nike, raccontando l’incredibile e rivoluzionaria partnership tra un giovane Michael Jordan e la nascente divisione dedicata al basket della Nike, capace di rivoluzionare il mondo dello sport, quanto la cultura contemporanea, con il lancio del marchio ‘Air Jordan’.

UN GRANDE SALTO

È esattamente un grande salto quello che il film di Ben Affleck compie a pochi minuti dall’inizio. Dopo una passeggiata iniziale che ci presenta i luoghi, il panorama sociale dell’America degli anni ’80 e soprattutto i personaggi, apparentemente normali, tradizionali, grigi, proprio come immaginiamo il più omonimo degli uffici come in un grande classico della filmografia americana ed esaltati solo dalla musica che li pervade, Air – La storia del grande salto stravolge la narrazione. Una storia che poteva essere rapida, meno accattivante di quanto si possa mai immaginare diventa la corsa al sogno americano. In questo caso non è lo status di uno dei personaggi a dover cambiare ma il bilancio di un’azienda, di un intero comparto, quello della Nike dedicato al Basket, che rischia di non aver profitti sufficienti per restare aperto. Matt Damon interpreta un personaggio, Sonny Vaccaro, il cui fascino risiede negli occhi, in quella scintilla che una volta compreso il suo obiettivo (ottenere l’astro nascente della stagione, Michael Jordan, come volto (o piede) della sua azienda) guadagna quella bellezza che non c’è fisico che possa dare. Le sue doti attoriali sono uno dei punti cardine di Air. Il capitalismo, l’arroganza di chi non deve sudare per ottenere ciò che vuole e la fatica, invece, di chi deve correre – anche da uno stato all’altro – per riuscire ad avere anche solo una possibilità rischiando il tutto per tutto, crea un ritmo, un’adrenalina, una voglia di scoprire come si è raggiunto uno degli accordi commerciali più rivoluzionari dell’ultimo secolo in modo impeccabile.

Air la storia del grande salto recensione
Foto: Warner Bros. Italia

NON UN FILM SULLO SPORT

Non è un film sullo sport, non è un film su Michael Jordan, e a tratti non è neanche un film sulla Nike stessa. Air – La storia del grande salto è un lungometraggio che raccolta un’intuizione commerciale e i passi necessari, non banali, per creare la scarpa del secolo. Fa scoprire grandi personaggi, ci racconta – durante i titoli di coda, come sempre – la loro situazione attuale e ci intrattiene con una serie di dialoghi che rendono grandiosa non tanto l’elegante e mai invasiva regia di Ben Affleck, quanto la sceneggiatura. Il film esalta le doti del già citato Matt Damon e regalano due splendide performance a Viola Davis e Chris Tucker (a tratti poco riconoscibile, nel senso più positivo del termine), affiancati da Jason Bateman, che in uno dei suoi migliori ruoli recenti porta del sentimento e della consapevolezza dei rischi e delle perdite – non solo economiche – nella lotta per ottenere il giocatore dell’anno. Air – La storia del grande salto è dunque quanto ti più americano ci si possa aspettare da quel cinema bello, piacevole, che prende una storia già raccontata al mondo di recente e in pochi minuti da The Last Dance (documentario disponibile su Netflix) per trasformala in una narrazione accattivante e ben congeniata, attuale sia per l’interesse relativo non tanto al fatto centrale quanto ai retroscena che caratterizzano la nostra storia moderna quando per la lotta tra chi ha il capitale e chi può generarlo senza poter cambiare il proprio stato sociale. Ma attenzione, non c’entra il colore della pelle quanto il numero di zeri nel proprio conto in banca. E tutto questo avviene in modo sorprendete e intelligente nell’uso centellinato della figura di Michael Jordan stesso, che diventa solo un’esca per raccontare molto di più. E in fondo, dopo averlo avuto al centro di Space Jam, non poteva che esser Warner Bros, nell’anno del proprio centenario, a prendere una delle figure chiave di uno dei loro più grandi successi per realizzare un film perfetto per celebrare la magia narrativa del cinema e i loro primi 100 anni.

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