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aquaman e il regno perduto recensione film con jason momoa
Alessio Zuccari

Aquaman e il Regno Perduto: recensione del film con Jason Momoa

Tags: aquaman e il regno perduto, james wan, jason momoa, patrick wilson
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Alessio Zuccari

Aquaman e il Regno Perduto: recensione del film con Jason Momoa

Tags: aquaman e il regno perduto, james wan, jason momoa, patrick wilson

Arriva al cinema il sequel del film con protagonista il re di Atlantide. Un’opera fuori tempo massimo, ma a suo modo anarchica.

Un tempo i cinecomic erano fatti per arrivare al cinema circondati da più rumore possibile. Ora alcuni ci finiscono addirittura in punta di piedi, cercando di calpestare poco e limitare i danni. Paradossale se ci si sofferma a ragionare su quanto budget richiedano opere come Aquaman e il Regno Perduto (quel che è certo: siamo sopra i 200 milioni di dollari), che di questo quieto palesarsi è un clamoroso esempio. Se ne è sentito parlare poco, di campagna marketing se n’è fatta pure meno.

Spunta scomodo dalla risacca del mare, incastrato nel mezzo di una congiuntura temporale che lo vede in partenza come uno di quelli che proprio non ce la faranno. D’altronde su quale appeal potrebbe far forza un film del genere? È sì sequel di un primo capitolo che nel 2018 riuscì a incassare più di un miliardo di dollari al botteghino; ma è anche figlio di una pandemia, dello sgretolamento del DC Extended Universe e del cambio di direzione ai vertici dei DC Studios, sul quale trono siedono adesso James Gunn e Peter Safran.

Sotto le macerie di un universo narrativo

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Photo Credits: Warner Bros.

Allora il titolo della nuova avventura cinematografica del supereroe impersonato da Jason Momoa si fa profetico: il regno perduto è letteralmente quello di un universo narrativo le cui memorie già si disperdono nel tempo e sul quale ci si appresta a fare tabula rasa, dopo i rovinosi flop di Black Adam, Shazam! Fury of the Gods e The Flash. Gunn e Safran sono lì a immaginare il franchise del domani, il DC Universe, e allora ad Aquaman e il Regno Perduto non resta che farsi vestigia di un mondo che non esiste più. Sia dentro lo schermo, sia fuori.

Per restare nelle facili metafore marittime, questa sospensione nel limbo è uno scoglio complesso da superare. Anche se si volesse scendere a patti con il ritorno al timone di James Wan. Che il suo, a dirla tutta, lo fa pure. Perché qualora decidessimo di astrarci da ogni cosa, di tirarci fuori dal flusso che eppure è la sostanza e la spina dorsale di saghe come queste, Aquaman e il Regno Perduto qualcosina che brilla sotto la sabbia ce l’ha.

La sceneggiatura di David Leslie Johnson-McGoldrick nemmeno ci prova e riduce all’osso lo spessore sociale, culturale, politico. Sì, c’è una minaccia che usa come arma il surriscaldamento globale. Sì, questa minaccia alberga congelata sotto al ghiaccio che poco a poco si sta sciogliendo e rischia di liberarla. Sì, c’è un invito ad affrontare uno dei grandi temi del presente uniti e compatti appianando le differenze. Ma ora più che in passato è tutto messo lì a fare da sfondo con la consapevolezza di non godere di nessun tipo di credibilità al minimo accenno di ragionamento serioso.

Un oggetto buffo, giocherellone e sconclusionato

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Photo Credits: Warner Bros.

Dunque il film fa l’unica cosa che si può permettere di fare, cioè aggrapparsi alle larghe spalle di un protagonista che al richiamo delle responsabilità familiari e pubbliche risponde presente, ma cazzeggiando. Arthur Curry alias Aquaman è infatti ora padre di Arthur Jr. – la madre è Mera, l’Amber Heard che non ha contribuito a pubblicità positiva dopo il processo contro Johnny Depp – e re di Atlantide.

Per una serie di ragioni che, coerentemente con la pellicola, è interessante spiegare fino a un certo punto, Arthur si ritrova nella scomoda posizione di doversi ricongiungere con il fratellastro traditore Orm (Patrick Wilson) per sconfiggere il ritorno di Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II). Già il quasi totale recupero dei personaggi principali dal precedente capitolo la potrebbe dire lunga sull’estro creativo in seno a quest’opera apolide, ma Aquaman e il Regno Perduto fa di necessità sbilenca virtù.

Ad uscirne fuori è infatti una sorta di sconclusionato buddy movie tra fratelli, dove anche Orm viene declinato ai ritmi e alle esuberanze di Arthur. Non significa che il film trovi un solido registro di fondo, se non quello di un ludico che viene come viene. Un momento prima si corre, ci si fa strada tra diversi biomi e pare di essere atterrati in Jumanji (però nella sua ultima versione cinematografica). Il momento successivo ci si prende fortissimo a pugni e con grande frenesia, tanto da far credere di star premere tasti alla ricerca di una combo in un videogioco come Tekken o Mortal Kombat. Uno spirito libertino soprattutto in regia – che in un certo frangente si abbandona a un paio di ralenty da far stridere i denti –, quantomeno sempre coerente nel lasciare il senno e le sue ragioni accantonati in un angolo.

Dopotutto Aquaman e il Regno Perduto è anche un film fatto tutto di navi, sottomarini, tute, robottoni e grandi pulsanti rossi, onomatopeico e gigionesco già per come si presenta. Quindi, di fronte alle bandiere ammainate del suo universo narrativo, il film di Wan si riduce a un oggetto buffo e giocherellone, risposta a suo modo anarchica al collasso di ogni coordinata che un tempo lo considerava sulla bussola.

Aquaman e il Regno Perduto è al cinema dal 20 dicembre.

Guarda il trailer italiano di Aquaman e il Regno Perduto:

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