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Roberta Panetta
The White Lotus 3 recensione: la satira sociale sbarca in Thailandia
È un talento evidente, quello di Pietro Castellitto. Figlio d’arte che quell’arte non l’ha subita passivo, ma nel corso del tempo l’ha incanalata prima come attore, romanziere e poi anche come sceneggiatore e regista. Torna al Lido di Venezia dopo I predatori, vincitore nel 2020 proprio del premio alla miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti, e presenta Enea in Concorso nella selezione del Festival di Venezia 2023.
Un film che arriva per confermarci, dopo l’esordio, che Castellitto ha un grande conto in sospeso con il contesto che l’ha fecondato e generato. Come artista, certo, ma soprattutto come essere umano. Nei confronti di quella Roma acchittata bene, tirata a lucido sotto la luce del sole, fatta di un linguaggio artificiale e truffaldino che chiude sempre le frasi con il nome dell’interlocutore al quale si rivolge.
Ancora una volta al centro ci sono la famiglia, il senso di appartenenza, la scelta di come e in quale modo occupare un posto nel mondo. Ma famiglia come club o come clan? Perché nel primo si accede pagando la quota, presentando estratto conto e medaglie sul petto. Il secondo, invece, lo si sceglie quando si ha uno scopo in comune. La differenza sta tutta qui e su essa Castellitto edifica un racconto stralunato, abilissimo ancora una volta nel rovesciare l’andamento della battuta, dell’inquadratura, della scena.
Una storia, quella di Enea, dalle derive di un gangster movie atipico, di cui sempre Castellitto è protagonista in prima persona al fianco degli azzeccati volti nobiliari di interpreti come Giorgio Quarzo Guarascio (i più lo conoscono con il suo nome da battaglia, Tutti Fenomeni) e Benedetta Porcaroli, in un cortocircuito dove l’estrazione sociale degli interpreti si mescola senza soluzione di continuità alla messa in rappresentazione. Una storia che senza scegliere mai una coordinata davvero precisa stringe nelle mani rabbia generazionale e istinto di ribellione ai padri padroni.
Entrambe le cose, però, sono soffocate da una giravolta che ammette quasi con rassegnazione – o, forse, con un pruriginoso abbracciare l’evidenza – l’impossibilità di uscire da una impasse sociale e politica, che decanta il lamento di una nuova borghesia nata tale, quindi già marchiata dai tanti vizi e dalle poche virtù. Uno sfogo, questo qui della new generation borghese, che non si sfoga mai per davvero, che rimane disperso in un film in cui abbondano vapori e fumi che mistificano, confondono, eludono.
Castellitto, con onestà intellettuale, discute in Enea quello che conosce e lo fa circondandosi di gran parte di quella famiglia che ama e che odia (ci sono anche il padre Sergio e il fratello Cesare), che si tiene stretta nonostante ne voglia anche evidenziare difetti ed ipocrisie. C’è da dire che questo suo caricare lancia in pugno è comunque una pulsione che sul lungo arriva per sostanziarsi della sua compiaciuta bravura, del suo onanismo, ripiegandosi su se stessa e facendosi accessibile solo per piccoli momenti di ironia ed empatia.
Un’operazione che assume quindi la forma non tanto di un grido liberatorio, quanto di congenita colpevolezza, di un riposizionamento consapevole nel recinto di un mondo che resta respingente ed anche piuttosto odioso. Castellitto chiaramente lo sa, perché lo mette al centro del mirino, ma non può davvero uscirne perché è radice che collega mente e cuore.
E allora probabilmente sa anche che in un film come Enea piazza spigoli dappertutto, tratteggia con amaro affetto un mondo per il quale compassione è difficile provarla, nei confronti del quale si avverte davvero poca urgenza di prossimità. Alimenta, insomma, un cortocircuito in cui si sorride increspando la bocca, ma osservando guardinghi, tenendosi a debita distanza con il timore di lasciarsi contaminare da un mondo che ha cannibalizzato i figli suoi e quelli degli altri.