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Alessio Zuccari
Piccoli brividi: recensione della serie teen-horror su Disney+
Tags: disney+, piccoli brividi
Le generazioni nate a cavallo tra anni Ottanta e Novanta non possono non essersi imbattute almeno una volta nei romanzetti di Piccoli brividi. L’opera di R.L. Stine ha infatti segnato l’immaginario dell’horror per ragazzi a partire dal 1992, anno di pubblicazione del primo racconto. Poco tempo dopo, a fenomeno già incalzato, arriva anche l’omonima serie TV a donare ulteriore lustro a quella che con il tempo è diventata una proprietà intellettuale di culto.
E siccome viviamo in un’epoca in cui a ogni idea buona del passato si concede almeno un’opportunità di brillare e generare introito anche nel presente, ecco che Piccoli brividi traccia un arco ampio trent’anni e torna ad infestare le nostre TV. Rob Letterman e Nicholas Stoller sviluppano per Disney+ e Hulu una nuova trasposizione delle storie di Stine, confezionando una serie da otto episodi, della quale abbiamo visto i primi cinque.
Si accusa il peso degli anni? Sì e no. Bisogna prima di tutto chiedersi a chi sia rivolto questo revival. Ai fan di vecchia data, ora trentenni cresciutelli, o a un pubblico giovane da pescare negli adolescenti della Gen Z? La risposta alberga nel mezzo. Piccoli brividi tenta di seguire i parametri di una formula volta a sintetizzare qualcosa che concilia vecchio e nuovo.
Da una parte prende a piene mani dal passato: tornano infatti i grandi cavalli di battaglia del franchise, come lo è la macchina fotografica che quando scatta imprime su pellicola il futuro, oppure la maschera maledetta che si impossessa di chi la indossa. Dall’altro lato funzionalizza secondo i criteri del presente: viene meno la celebre impalcatura antologica della saga – sia dei romanzi, che della prima serie TV – e assorbe i vari racconti all’interno di una trama teen orizzontale.
Ogni episodio della nuova Piccoli brividi si inserisce in una storia alla quale apporta poco a poco maggiori informazioni. C’è un gruppo stabile di giovanissimi (Zack Morris, Miles McKenna, Ana Yi Puig, Isa Briones) che si imbatte nelle reliquie dannate di una casa passata da poco in eredità a un nuovo proprietario (Justin Long) e professore del liceo di Port Lawrence. Proprio il liceo è cardine attorno al quale ruota un intero genere di nuovo riferimento, il teen drama, e che viene sfruttato come terreno di convergenza delle tante stranezze che questi giovani si ritrovano a fronteggiare.
Le singole puntate assumono quindi la differente prospettiva di uno degli adolescenti, dove emergono i tratti quasi autoconclusivi delle iconiche storie dei romanzi, mentre sullo sfondo si delinea il quadro di un mistero rimasto insoluto e di cui venire a capo. Piccoli brividi si inserisce anche nel solco del tono ironico che ha sempre contraddistinto il lavoro di Stine, favorendolo forse al lato più orrorifico dei racconti. Lo spavento e il disgusto ci sono, però meno pungenti e probabilmente più innocui se messi in confronto agli esiti divertiti e cattivi a cui andava incontro anche lo show televisivo originale.
Qui in effetti sta il limite della rinuncia all’efficacia degli episodi antologici, che in questo contesto sono invece indirizzati a risolversi in favore del completamento generale dell’intreccio. È un compromesso che Piccoli brividi sceglie con consapevolezza di scontare per attualizzarsi e meglio intercettare la predisposizione dei pubblici più giovani. Lo fa trovando una propria struttura che a conti fatti funziona, anche se magari non replicherà i fasti dei tempi che furono.