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Cristiana Puntoriero
The Good Nurse: recensione del film Netflix con Jessica Chastain ed Eddie Redmayne
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Ogni volta che varchiamo la soglia di un ospedale, il passo in avanti che ci porta all’interno di un reparto segna inevitabilmente la custodia del nostro corpo ai dottori che andranno a curarci. È un atto di fiducia totale, perché è a loro che affidiamo il bene più prezioso che abbiamo: la nostra salute. Eppure, di errori nell’ambito medico la cronaca ne è piena e lo sappiamo, ma si tratta – senza alcuna giustificazione o condono – per la stragrande maggioranza di negligenze, sottrazione ai propri doveri; dottori cioè che hanno fatto male il loro lavoro e (ripetiamo) non per questo è concessa alcuna scusante.
In The Good Nurse però, la questione si fa, se possibile, ancora più agghiacciante, perché entra preponderante l’elemento della volontà, o come si direbbe in giurisdizione, di premeditazione.
Quella che ricostruisce il film Netflix per la regia del danese Tobias Lindholm, è la storia realmente accaduta dei 29 casi accertati di omicidio, (ma il numero potrebbe ammontare a oltre 400), compiuti per mano dell’infermiere professionista Charles Cullen, colpevole di aver ucciso i propri pazienti in nove ospedali diversi della Pennsylvania nell’arco di sedici anni. Condannato per questo ad una pena di 18 ergastoli che tuttora sta scontando nel New Jersey, l’uomo non ha mai spiegato il perché; ciò che è certo è che agì indisturbato nella negligenza stessa delle strutture ospedaliere che lo reclutavano di volta in volta, destando il sospetto su quei numerosi arresti cardiaci, così tanti nei suoi turni di lavoro, e dalla quantità di insulina e digossina trovata nel corpo delle (sue) vittime, iniettate a loro insaputa all’interno delle soluzioni saline comunemente trasfuse per endovena.
Tuttavia, nonostante il clamore della vicenda e la volontà di scandagliare o sezionare la mente del qui protagonista, per la maggior parte del tempo, il Cullen di Redmayne appare e ci appare come una sorta di figura-fantasma: uno spettro che aleggia in reparto con i suoi modi gentili e premurosi i quali, sapendo com’è andata a finire, destano ancora più inquietudine.
Spostando infatti la narrazione non esclusivamente sulle mosse del criminale ma su quelle della collega Amy (Jessica Chastain), la donna che contribuì alle indagini giocando un ruolo chiave, l’opera che riadatta il libro di Charles Graeber riesce a sviare dalla facile strumentalizzazione del male, annullando i pericoli, come visti di recente in Dahmer, di una involontaria o dichiarata fascinazione alla crudeltà usata a mo’ di aggancio attrattivo al suo pubblico.
Per due ore esatte The Good Nurse ci tiene in pugno sfruttando a proprio favore il mistero di una serie di atti incredibilmente disumani, compiuti lì dove dovremmo sentirci tutti più al sicuro, e dove l’ambivalenza perfetta incarnata da Eddie Redmayne fa da controcanto al sacrificio fisico dell’accudimento personificati invece da un’ottima Jessica Chastain. Scarnificando l’enigmaticità di un uomo a cui non siamo in grado di decifrare né movente né cause comportamentali, rimasto in quel mistero in cui lui stesso continua a proteggersi, il film, complice una scelta fotografica coraggiosa, relega al buio e alla freddezza degli ambienti ospedalieri il contributo immersivo di una sospensione altamente angosciante. Non c’è scampo nemmeno all’oggettività della morte, e di quei corpi paralizzati al rigor mortis che la telecamera di Lindholm non ha paura ci restituirci.