Film, Recensioni, Top News
0
Alessio Zuccari
The Marvels: recensione del nuovo film del MCU
Tags: brie larson, iman vellani, MCU, the marvels
The Marvels non è che sia un brutto film. Il problema sta nel fatto che è un film rimasticato. Rimastica le sue protagoniste, rimastica cosa queste devono affrontare e rimastica il come devono farlo. The Marvels è l’usato sicuro a timbro Marvel Studios. Un film di supereroi fatto e finito nella cornice dell’intrattenimento immediato, noto, quasi confortevole se si vuole. Nel senso che non smuove di un centimetro l’indirizzo creativo di quella grande e grossa struttura che è il Marvel Cinematic Universe, oggi più che mai sconquassata invece dal rumoreggiare dei fan e dai malumori interni alla catena di comando produttiva.
Ed è un problema, sì, perché un’opera come The Marvels sarebbe andata forse bene dieci anni fa, in piena costruzione di una mitologia e di un canone cinematografico. Ora, nel suo essere così “pacifica” nel rispettare un immaginario visivo, il mix tenue tra action e avventura, un umorismo giocherellone di contorno, si fa solo ricettacolo di tutte quelle istanze standardizzate, ripetute e tanto criticate nel post Avengers: Endgame.
Insomma, è un oggetto – il trentatreesimo del corso MCU – le cui singole parti sono intercambiabili, i sentieri troppo battuti e le riflessioni troppo vacue. Poi, il non doversi porre come un anello cruciale della catena potrebbe essere quasi un vantaggio. Il primo pregio sta in effetti nell’accorciamento drastico della durata, qui, vivaddio, di poco superiore all’ora e mezza. Durata che il film diretto da Nia DaCosta e scritto dalla stessa regista assieme a Megan McDonnell ed Elissa Karasik riconosce più che sufficiente per narrare una storia a dir poco essenziale.
Mentre Nick Fury (Samuel L. Jackson, sempre più accessorio) sta gestendo i trattati di pace tra gli ultimi scampoli del popolo Skrull e il decadente impero Kree, iniziano a comparire punti di salto che collegano ad altre galassie. Li sta aprendo Dar-Benn (Zawe Ashton), nuova guida dei Kree salita al potere dopo la dipartita di Ronan l’Accusatore e avversaria di turno degna di nota solo per l’oramai consolidata dinamica narrativa secondo la quale anche i nemici sono mossi da motivazioni nobili, o quantomeno nobili secondo la loro prospettiva.
L’ingresso in scena di un trio non troppo affiatato
E qui fanno il loro ingresso in scena le tre marvel che accorpate formano il trio che dà il titolo al film. La prima è Ms. Marvel, l’adolescente Kamala Khan (Iman Vellani) già protagonista dell’omonima serie a retrogusto teen, l’unica vera ventata d’aria fresca utile anche a ragionare in ottica del tanto agognato cambio generazionale – di star, ma anche di “firme”, perché ad esempio DaCosta è classe 1989. C’è poi Monica Rambeau (Teyonah Parris), probabilmente la più fiacca delle tre, introdotta ai superpoteri a margine di un’altra serie, la prima del MCU, ovvero WandaVision. Infine c’è ovviamente lei, l’originale, la Captain Marvel della tanto bistrattata Brie Larson, personaggio che sarebbe dovuto essere faro del nuovo corso e invece si è ritrovato stipato in un angolo. Anche a causa del veleno degli estremisti odiatori che nel corso degli anni hanno additato la sua interprete come emblema di un’ideologia troppo inclusiva, complici le sue pungenti opinioni sul meccanismo Hollywood.
La trovata migliore di The Marvels è sfruttarle e coreografarle in sincrono: a causa delle azioni di Dar-Benn, le tre possono infatti scambiarsi letteralmente di posto ogni volta che utilizzano i loro poteri. È un espediente preposto a meccanismo, sul quale il film si muove a dire il vero in maniera abbastanza agile e in alcune circostanze ben riuscita – il primo scontro in cui le protagoniste scoprono questa nuova abilità è il più gustoso di tutti.
Si tratta però di un congegno che esaurisce in fretta la sua spinta propulsiva, che si arrugginisce al rapido venir meno di un’impalcatura atta a stimolare interesse. Anche l’alchimia tra le tre interpreti pare tronca, raffazzonata, a intermittenza. Colpa anche dell’evidente rimpasto di uno script, a cui sembrano mancare snodi atti a caratterizzare le singole peculiarità caratteriali ed emotive delle protagoniste, dove l’unica frizzantezza, come detto, è quella di Vellani, che tanto ci fa sperare per l’avvenire suo e del suo personaggio.
C’è davvero poco di notabile, in The Marvels. Meglio: c’è davvero poco di distinguibile, in The Marvels. Che si intenda questo sul fronte della realizzazione tecnica, col fiato corto da diverso tempo a questa parte. Che lo si intenda sul fronte dell’immaginazione chiamata a mostrare gli scorci di mondi e di culture distanti, relegati a iterazioni di pattern già visti e consumati – l’unica trovata divertente sta in un popolo “canterino”, purtroppo, in un contesto del genere, già pronta a far digrignare i denti di molti. Ma che lo si prenda anche secondo la prospettiva dei movimenti di sfondo, dove i ragionamenti sociopolitici e sull’attualità non nuovi alla Marvel vengono assorbiti con pigrizia nella condizione di popolo esule degli Skrull e nell’unica, grande guerra che si prospetta all’orizzonte, quella per le risorse.
Tutto è attutito da un cuscinetto di effimerità che potrebbe andar bene nel caso di una origin story, di un incipit, di uno slancio atto a introdurre qualcosa. Invece in questa occasione si avverte la stanchezza del pensiero, si avverte l’adagio di un sistema produttivo che mai come adesso mostra gli ingranaggi della sua catena di montaggio. Che sì, abbiamo sempre saputo essere lì, e che eppure sapeva ingannarci per come la mascherava bene, la colorava e rendeva peculiare.