Il cinema di Jane Campion non ha mai avuto un protagonista maschile. Dal suo primo lungometraggio per il cinema Sweetie (1989), fino all?ultima acclamata miniserie Top of The Lake ? Il mistero del lago (2013-2017), l?opera della regista e sceneggiatrice neozelandese ? emersa e si ? imposta per il suo punto di vista privilegiato e autoriale sulla complessit? femminile, escludendo dalla proiezione erotica e romantica delle sue eroine l?usuale pervasivit? cinematografica dello sguardo maschile. Il filtro attraverso il quale la film-maker indipendente ha scelto sin da subito di far vibrare i suoi caratteri ? infatti quello esclusivo e identitario di donne, giovani o pi? mature, catturate nella loro dolorosa messa a confronto con un risveglio sessuale, minacciate e attratte da corpi e volti maschili, i quali invece di porsi come fine ultimo della concretizzazione della propria identit?, ne diventano piuttosto il tramite, l?oggetto del desiderio al quale ambire e da cui sperimentare, sovvertendone cos? l?abituale dicotomia.
Cimentandosi in formati differenti, aderendo alle prerogative degli studi femministi e concedendosi salti nei generi pi? disparati, dal dramma al thriller, dai romanzi in costume al neo-noir, la Campion ha ribaltato i generi del femminile e del maschile rintracciando in quest?ultimo la minaccia del pericolo autoritario ? sia pi? propriamente brutale che liberatamene erotico ? da cui innescare e poi disperdere il racconto, infondendo nelle proprie storie e nelle precise scelte registiche un costante senso di attrazione e repulsione, ossessione e stordimento, romanticismo manieristico e tattilit? sensoriale.
Il mito del west e la decostruzione della virilit?
Se in Lezioni di piano (1993) la protagonista interpretata da Holly Hunter veniva estirpata dalla propria terra per essere data in sposa ad un violento proprietario terriero, e se nel sottovalutato In the cut (2003) Meg Ryan si ritrovava invischiata nelle indagini di un killer seriale le cui vittime erano giovani ragazze (solo per citare il pi? conosciuto e quello pi? controverso), nel suo ultimo lavoro Il potere del cane ? il femminile stavolta ad essere intimidatorio, a rappresentare per il protagonista il rischio e la probabilit? concreta di perdere ci? che ha di pi? caro: il fratello minore George, e non solo.
Adattamento del romanzo omonimo di Thomas Savage pubblicato nel 1967, questo anomalo western letterario, premiato a Venezia con il Leone d?Argento e gi? vincitore di tre Golden Globe fra cui quello al miglior film drammatico, si confeziona visivamente attraverso alcuni stilemi tradizionali del genere americano per antonomasia, discostandosi per? per tematiche e incanalamenti introspettivi dal mito fondativo caro al cinema a stelle e strisce. La sensibilit? della Campion, qui, entra a contatto con un materiale respingente, nel quale aleggia sin da subito e in modo circolare un senso irrequieto e perturbante di morte e vergogna.
Feticci e pulsioni erotiche nel film Il potere del cane
Il Phil Burbank interpretato con spietata sottigliezza e carisma da Benedict Cumberbatch rappresenta infatti per la neozelandese il primo vero protagonista maschile della sua intera carriera, e questa sorta d?iniziazione non poteva che non avvenire con un uomo ambiguo, bestiale e intellettualmente dotato, misogino e assieme nervoso, disumano e al contempo dolente; racchiuso in una solitudine necessaria a preservare la sua inconfessabile natura omoerotica abbandonata anni prima sulla sagoma di una collina, invisibile a molti e percettibile a pochi, di un cane che si appresta ad abbaiare.
L?arrivo di Rose in casa Burbank, sposata in fretta e furia dal pi? ingenuo ed educato dei fratelli, e del figlio di lei, efebico e per questo vittima di uno spietato bullismo da parte del ranchero, scatena in Phil un?ondata inarrestabile di inquietudine detonata dall?idea minatoria di rimanere solo, e di non poter realizzare quell?amore compiuto e reciproco conquistato naturalmente dal fratello ? lui che solo si sente da sempre, dopo la perdita di un amico e un mentore: un fantasma di cui ora ne ? rimasto solo un pezzo di stoffa da toccare per rievocare piaceri mai pi? raggiunti, e una sella da cavallo lucidata con amorevole dedizione notturna.
I dettagli e le percezioni ambigue nel cinema sensoriale di Jane Campion
Il potere del cane si fa quindi narrazione stratificata, tessuta su segreti e disperazioni, dipendenze e vergogne; intrecciata in primi piani sulle mutazioni dello sguardo e su panoramiche infinite sulle colline, sui movimenti muscolari degli animali e sui racconti lugubri di salme tornate alla luce. Su erotismi maschili ma non pi? machisti, proponendo su una nuova virilit? e una sempre dannata femminilit?.
Jane Campion prosegue con maestria nella sua estetica intimista, privilegiando la sottigliezza dei gesti e dei dettagli vicinissimi di oggetti, amplificando la simbologia e i richiami alle sensazioni del corpo, ai rumori magnetici che danno i brividi, mettendo in bilico, per l?intera durata del racconto, la costante seduzione e avversione verso qualcosa, o anzi, verso qualcuno. Un film destinato a rimanere, il cui valore, oltre a quello meramente artigianale, risiede proprio nell?indugio all?incertezza, dove la protezione e il desiderio inconscio di esprimere e sopprimere viene costantemente evocato.
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