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Alessio Zuccari
Tom Cruise, il talismano di cui Hollywood ha bisogno
Tags: mission impossible dead reckoning parte uno, tom cruise, top gun maverick
Nei giorni a ridosso della serata degli Oscar 2023, è diventato virale un video in cui sono protagonisti Steven Spielberg e Tom Cruise. I due si erano incontrati in occasione del pranzo della Academy, evento al quale vengono invitati tutti quanti i candidati delle varie categorie che poi verranno premiate agli Oscar. È un video che ha l’aspetto di quelli trafugati un po’ per caso, che rubano degli scampoli, dei momenti di un qualcosa che poi assume un determinato valore simbolico. Spielberg e Cruise si avvicinano, si stringono la mano sorridendosi, si abbracciano e si dicono qualcosa all’orecchio. A un certo punto la conversazione diviene chiara anche per lo smartphone che sta riprendendo il tutto e si sente Spielberg dire a Cruise di aver «salvato il culo a Hollywood», aggiungendo poi «e potresti aver salvato l’intera distribuzione in sala».
Questo qui è un momento importante per inquadrare la figura di Tom Cruise oggi. Con quelle affermazioni Spielberg sta infatti facendo riferimento all’incredibile successo di Top Gun: Maverick, il sequel di un cult anni Ottanta sul quale nessuno, o quasi, avrebbe scommesso una lira. Il nessuno siamo noi, spettatori per lo più scettici nei confronti di un secondo film che arrivava a trentasei anni di distanza dall’originale e che preannunciava l’ennesima operazione nostalgia. Il quasi è Tom Cruise, che fa invece una cosa fondamentale.
Top Gun: Maverick doveva infatti uscire inizialmente nel 2019. A seguito della necessità di girare alcune scene aggiuntive la release slitta, incappando poi nello scoppio della pandemia. Passano in sostanza quattro anni prima di arrivare all’uscita effettiva del 2022, ma nel mezzo l’opera ha dovuto resistere al mutamento del sistema distributivo che ha visto moltissime società cedere a un rilascio dei film esclusivamente in via digitale durante i mesi neri del Covid-19. Anche la Paramount, casa di produzione e distribuzione di Top Gun: Maverick, ha vacillato.
Cruise, che nei film nei quali recita ora figura quasi sempre anche nelle vesti di superproduttore, ha però puntato i piedi: o la sala cinematografica, o niente. La pellicola arriva al cinema in questo clima di generale scetticismo e fa un vero e proprio miracolo. Incassa un miliardo e mezzo di dollari e riesce nella complicatissima operazione di mettere d’accordo, in maniera praticamente unanime, pubblico e critica. È uno dei più grandi successi commerciali di sempre e, soprattutto, il primo grande successo commerciale dell’era post-pandemica.
Top Gun: Maverick è il film che dice in maniera netta che il ruolo della sala è vivo, e Tom Cruise in questa affermazione ha giocato un ruolo fondamentale. Nel momento in cui un decano di Hollywood e della storia del cinema come Spielberg investe pubblicamente Cruise di questo ruolo di salvatore, non fa altro che alimentare la portata di un’icona che negli ultimi anni si è in realtà già formata e consolidata. Quale? Quella di un attore sempre più fuso assieme al personaggio della star action d’altra generazione, in particolare nell’ultimo decennio assieme alle numerose e proficue collaborazioni con Christopher McQuarrie; quella di un attore che performa ogni momento di questo ruolo, dal primo piano agli stunt più pericolosi; quella di un romantico pronto a tutto, che sfida il ticchettio delle lancette che scorrono in avanti, che segnano un +1 sulla carta d’identità ogni anno che passa e che contrasta l’invadenza della tecnologia. Insomma, quella di un campione di un certo modo di fare e di intendere il cinema, forse un pelo anacronistico e con la consapevolezza di esserlo, e per questo efficace contro i timori del futuro.
Dopotutto proprio Top Gun: Maverick parlava di questo, del sorpasso digitale che il presente fa a se stesso, dove un gruppo di piloti appartenenti a un programma considerato oramai obsoleto è pronto per essere definitivamente sostituito da un più efficace stormo di droni controllati da remoto. Quella della minaccia tecnologica è però la linea narrativa anche dell’ultimo Mission Impossible – Dead Reckoning Parte Uno. Un programma informatico si è smarcato dal controllo umano ed è divenuto una pericolosa e senziente intelligenza artificiale – il timore collettivo che abbiamo abbracciato con insistenza nell’ultimo anno – che smaschera, bracca e prevede le gesta del furbissimo Ethan Hunt, il superagente segreto che Cruise interpreta da più di vent’anni sotto l’egida di Brian De Palma, John Woo, J.J. Abrams.
Un personaggio/alter ego che ce la mette sempre tutta, si tuffa, si lancia, si arrampica e si abbarbica in situazioni che con l’analogico del suo corpo e delle sue soluzioni è sempre riuscito a comprarsi del tempo, dei giorni in più da passare assieme al suo team, al gruppo che fa la forza e per cui vale la pena lottare. Uno sforzo meta-cinematografico che fa risonanza con il Cruise fuori dallo schermo, riscoperto paladino della sala e quindi dell’esperienza collettiva, del valore del pensare sociale, del pensarsi adiacente al prossimo.
E qui torna alla memoria l’audio fatto trapelare dal The Sun in cui Cruise inveisce sul set proprio dell’ultimo Mission Impossible contro chi non stava rispettando le rigorose norme anti-covid, ricordando alle vittime della sua ramanzina che c’erano persone rimaste senza lavoro a causa della pandemia.
Quindi così è ancora più forte la dolenza a cui va incontro Ethan Hunt in questo penultimo capitolo della saga, costretto a inseguire un nemico invisibile, soprattutto intangibile, impossibile da afferrare, che porta a deragliare in un vortice di progressiva incertezza in cui l’unica coordinata resta sempre quella, la forza degli ideali e degli affetti. Ethan Hunt, che non è altro che un Tom Cruise che salta dai dirupi, pilota moto ed aerei, si lancia col paracadute, non vuole e non può cedere alla realpolitik, al pragmatismo delle cose per così come stanno.
Tom Cruise, che non è altro che Ethan Hunt così come è Pete “Maverick” Mitchell, continua a forgiarsi sopra una costruzione valoriale da una parte ludica e intrattenitiva, dall’altra rassicurante, titanicamente stoica nei confronti dell’algoritmo che corrode tutta la materia che tocca. Tom Cruise è insomma il talismano che Hollywood accarezza e vuol fare accarezzare in un periodo di forte spaesamento identitario come quello che stiamo attraversando, dove le cose sono già cambiate, probabilmente per sempre, ma dove c’è ancora un nobile Don Chisciotte che ci racconta che, forse, possono ancora andare diversamente, che c’è un’altra via, che non è troppo tardi per fare la cosa giusta.