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Martina Barone
Tutto ciò che non vogliamo dai David di Donatello, ma non osiamo cambiare
Tags: David di Donatello, David di Donatello 2023, Le otto montagne
Per quanto si provi – e si riesca – a dare ogni anno fiducia al nostro cinema italiano, ci sono poi puntualmente i Premi David di Donatello che ti buttano giù in maniera irrimediabile. Quest’anno lo avevano fatto prima ancora di cominciare. Come candidati per il Miglior film (La stranezza, Esterno notte, Le otto montagne, Il signore delle formiche, Nostalgia) compaiono cinque opere che arrivano tutte dallo stesso sottobosco culturale, quello in cui il dramma sembra l’unica opzione percorribile nel panorama nostrano. Uguale le candidature alla regia.
Fotocopiando la categoria principale, a concorrere per il David sono i maestri di un’arte che, è evidente, non vuole scansarsi per permettere al nuovo di avanzare, rimanendo attaccati al loro posto. Che poi non è neanche colpa di Marco Bellocchio (che il David 2023 lo ha anche vinto) o di Mario Martone se sono ancora in grado di fare del gran cinema. Lo è piuttosto di chi non trova nulla di strano nell’età media di una cinquina in cui ad abbassarla sono due autori, tra l’altro belgi: i registi e sceneggiatori Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch di Le otto montagne, rispettivamente di quarantasei e trentasette anni.
Ma di cosa ci sorprendiamo in un Paese in cui l’età degli esordienti oscilla ogni volta tra i quaranta e i cinquant’anni. E chi se lo scorda Steven Spielberg che consegna il premio a Donato Carrisi nel 2018 per La ragazza nella nebbia, al suo debutto a quarantacinque anni contro l’autore americano che, quando ha esordito al cinema con Duel, ne aveva venticinque.
Qualcuno però lo avrà fatto notare, visto che la co-conduttrice della serata, l’attrice Matilde Gioli, è partita a raffica appena salita sul palco, invitando i giovani a persistere e insistere in questo mestiere, facendo sentire la loro voce e la potenza delle proprie idee. Unico momento in cui le è stato concesso di parlare e dove non è stata silenziata da Carlo Conti, possiamo anche dire. Tanto il suo bel discorsetto lo aveva ormai fatto, ora si può tornare al vecchiume della cerimonia.
In fondo, sempre Gioli, era stata introdotta come la “brava e bella” attrice proprio all’inizio dei David di Donatello, dando il via a quella che, se per molti può sembrare retorica, è invece un utilizzo improprio e allucinante della lingua italiana. Come molto ce n’è stato durante il corso della serata. Mentre ben cinque uomini gareggiavano per conquistare i premi per il Miglior film e la Miglior regia – con lo spauracchio di Vandermeersch che però, essendo in coppia, può valere solo la metà -, le categorie vengono ripetute una dopo l’altra mostrando il sessismo insito nei più alti riconoscimenti dell’arte cinematografica italiana.
La miglior fotografia è il premio al Miglior AUTORE della fotografia. La miglior colonna sonora è il premio al Miglior COMPOSITORE. La produzione, anche, va al Miglior PRODUTTORE. Eppure che bello assegnare il David Speciale a Marina Cicogna e sottolineare la sua importanza in quanto prima donna tra le più importanti figure produttive del cinema italiano. Chiedendo subito dopo a Isabella Rossellini qual è il segreto della sua bellezza dopo tanti anni, naturalmente. Oltre al nome delle sue galline. Anche lì non lasciandole il tempo di esporre il suo discorso, di cui ha poi postato il video sul proprio Instagram, preferendo sapere le città preferita (a caso, ovviamente) dell’attore Matt Dillon.
Almeno ci consoliamo quando a vincere come Miglior esordio è Giulia Steigerwalt per il delicatissimo Settembre, commuovendoci un po’ per il film, un po’ per il marito (nonché produttore) Matteo Rovere accanto che, all’annuncio della vittoria, piange disperato. Una vittoria meritata per un’autrice che gli step li ha passati tutti, dalla recitazione, alla sceneggiatura, fino alla realizzazione di un cortometraggio omonimo e, finalmente, alla regia su grande schermo. Ma in fondo, quella degli esordienti del 2023, era decisamente la categoria più valida e vitale della 68esima edizione. E quindi viva Settembre, ma viva anche tutti gli altri suoi titoli.
Che poi, se ci pensiamo, siamo anche gli stessi che hanno Luca Guadagnino con Bones and All e non lo premiamo nemmeno per il film internazionale – dove, eggià, era nominato, facendo vincere tra l’altro The Fabelmans del citato Spielberg. E che non hanno nemmeno il coraggio di portare a traguardo le proprie “stranezze”, non premiando come Miglior film la serie Esterno notte o come Migliore attore il duo Ficarra e Picone.
Se è la decadenza che viene offerta in prima serata su Rai 1 durante il più importante riconoscimento del cinema italiano, allora non ci si sorprenda se il pubblico non è a conoscenza dello stato di salute di quest’industria. Che le buone firme le ha, come la voglia di sperimentare e di evolversi. Non basta chiamare una propria iniziativa Cinema Revolution per essere al passo con i tempi. Non mettendo nemmeno i titoli dei film alle clip mandate in onda, eppure invitando gli spettatori ad andare a vederli in sala. Ma questa è un’altra storia.