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Alessio Zuccari
Vasco Rossi: Il Supervissuto, recensione della miniserie su Netflix
Tags: netflix, vasco rossi, vasco rossi: il supervissuto
Vasco Rossi, il più grande artista rock della musica italiana, si domanda se utilizzare il termine “sopravvissuto” sia sufficiente per descrivere la sua traversata umana. Che sia un sopravvissuto, non c’è dubbio. Lo ammette lui stesso, raccontando con apprezzabile onestà delle lunghe cavalcate nelle sabbie mobili di un’arte per molto tempo mescolata alle sostanze stupefacenti e alla repulsione da parte dell’immagine pubblica.
Trova però un termine alternativo: supervissuto. Più ampio, più trasversale, anche più utile a fare il contorno di un mito che sa benissimo di essere tale. Da qui si origina Vasco Rossi: Il Supervissuto, miniserie in cinque episodi da tre quarti d’ora disponibile su Netflix, scritta da Igor Artibani e Guglielmo Ariè, assieme a Pepsy Romanoff (pseudonimo di Giuseppe Domingo Romano, dietro al cantante da anni) che fa anche da regista.
Ma che significa supervivere? Significa accogliere tanto dentro di sé, quello che sarebbe troppo per chiunque altro. O meglio, troppo per un individuo qualunque. Significa spingersi sempre al bordo del precipizio, spingersi sul confine, dove il limite si prende a braccetto con l’opportunità di fare sempre meglio, sempre di più. Significa partire dal principio, da Zocca, dove Vasco nasce e vive un’infanzia in cui si ritrova catapultato un po’ per caso nella musica. Significa vincere fanciullo l’Usignolo d’oro – uno Zecchino d’oro incastonato nell’entroterra della provincia -, significa affacciarsi all’adolescenza con una chitarra in mano, arrangiare i primi ritornelli, i primi riff, aprire una radio pirata e cominciare a far ruotare i vinili come dj in discoteca, lo Snoopy Club di Modena.
E ruotano come a ruotare sono i ricordi del cantautore in questa serie, che alterna il ritorno sui luoghi del cuore agli interventi degli amici e dei collaboratori di sempre. Fa capolino anche moltissimo materiale di repertorio, come quello inedito e girato – da Mauro Luccarini, in Super8 – in occasione del Colpa d’Alfredo Tour del 1980. Quegli anni ’80 in cui nascono i primi ed enormi successi, come Albachiara, si piantano i primi semi della mitologia della star e arrivano le prime grandi sferzate da parte dei giornali, della critica, del buon pensiero. È il periodo più creativo per Vasco Rossi, il periodo del «sesso, droga e rocknroll». Ma è anche un periodo in cui «sembrava di stare in trincea», dove l’eroina mieteva vittime e metteva nere radici che solo dopo anni sarebbero tornate a far sentire la propria presenza.
È trascinante il modo in cui Vasco si presenta nei lati anche più oscuri (che, però, sono sempre rifunzionalizzati ad accrescere il magnetismo dell’ego), con il suo linguaggio denso, sporco, verace. E poi ci sono l’esperienza in carcere per l’accusa di spaccio, la disintossicazione, la prima volta a Sanremo, l’incontro con Laura Schmidt, futura moglie con la quale mette su famiglia, «la cosa più trasgressiva che potesse fare una rockstar».
Vasco Rossi: Il supervissuto scandaglia decennio dopo decennio, fino a risalire ai ’90 dei grandi concerti e della fama internazionale, ai Duemila in cui i ritmi rallentano, il fisico chiede il conto dei tanti eccessi ma non mette un freno definitivo a una carriera che continua tra palazzetti ed eventi negli stadi. Ci vuole poco per essere trascinati nel turbinio irresistibile di una vita, artistica e personale, così ricca di sfumature, scandita a colpi di successi generazionali. Ricca di tante luci e anche di ombre che sono scese sull’uomo ma hanno formato l’artista, una delle figure più iconiche della storia italiana sulla quale il sipario non è ancora destinato a calare.