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Martina Barone
Avatar - La via dell'acqua: recensione del sequel del film di James Cameron
Tags: avatar, Avatar: La via dell'acqua, james cameron
Ambientato più di dieci anni dopo gli eventi del primo film, Avatar: La Via dell’Acqua inizia a raccontare la storia della famiglia Sully (Jake, Neytiri e i loro figli), del pericolo che li segue, di dove sono disposti ad arrivare per tenersi al sicuro a vicenda, delle battaglie che combattono per rimanere in vita e delle tragedie che affrontano.
Nel cast: Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang e Kate Winslet
Avatar – La via dell’acqua non è né superiore, né inferiore al precedente film del 2009. Molti potrebbero essere rincuorati da tale affermazione, molti altri potrebbero irritarsi perché si aspettavano dal ritorno nel mondo di Pandora di James Cameron qualcosa in più. In verità sapere che l’esperienza che offre il sequel è uguale o anche solo similare all’Avatar che lo ha preceduto dovrebbe essere un motivo in più per gioire del ritorno di un grande cantastorie e dell’universo che si è inventato.
Un cosmo che tredici anni fa ci ha condotto fino al popolo dei Na’vi e che ci fa ora tornare promettendoci un’epica più grande che si espanderà con i già confermati sequel. Con questa seconda pellicola c’era perciò da riadattarsi ancora una volta al panorama infinito di possibilità e meraviglie che ci aveva fatto conoscere tempo addietro l’autore americano, facendo molto proprio donandoci una visione vicina a quella dell’opera d’apertura. Stupendoci dunque come aveva saputo fare all’inizio e promettendoci un domani fatto di un cinema sempre con meno confini.
È con la tipica frase “Non siamo più nel Kansas” che Avatar – La via dell’acqua ci accoglie come se avessimo dimenticato davvero cosa significa saper costruire un’epopea che esce dal mondo ordinario per entrare in quello straordinario, dandoci così da subito una spinta nel credere all’impossibile e vedendolo raffigurato ancora una volta dai miracoli di Pandora.
Un pianeta su cui Jake Sully (Sam Worthington) ha deciso di restare e su cui ha creato la propria famiglia, ricoprendo un ruolo del tutto inedito nella sua vita, una felicità inaspettata per l’ex marine. Da uomo a cui è stata offerta una seconda possibilità, Jake è diventato adesso padre e, con questo compito da ricoprire, ha scoperto tutti i pregi e gli incredibili dolori che tale figura può detenere.
La protezione della sua famiglia, dei propri figli, è qualcosa di superiore per un protagonista che era diventato capo del popolo dei Na’vi, costretto a lasciarlo proprio per proteggere i suoi concittadini e, insieme, i propri cari. È un’importanza fondamentale quella che James Cameron dà alla paternità di Jake Sully, così come alla maternità della compagna di vita Neytiri (Zoe Saldana), a cui va scrivendosi parallelamente la storia dei figli e della ricerca del loro posto nel mondo.
Di un’identità che i ragazzi stanno ancora cercando. Di una casa che hanno dovuto abbandonare per riuscire a costruirne un’altra. La dualità che Cameron aveva generato tra umani e Na’vi scompare per un sequel in cui è la disparità generazionale a entrare in ballo e, con questa, le parti che ognuno ricopre all’interno di una clan. Dalla sicurezza che i genitori perseguono in cui far crescere i figli, alla loro ribellione fatta di sciocchezze e sbagli, solamente per comprendere chi sono.
Alla narrazione che, come la precedente seppur differente per temi toccati, si sviluppa cercando di seguire gli archetipi e la classicità che ha reso fin dal 2009 la dimensione di Avatar universale, James Cameron unisce l’abbacinamento capace di suscitare grazie alla pittura delle sue immagini.
Dal cielo su cui il regista ci ha fatto librare passando per i rami e le liane con cui il popolo della foresta ci ha condotto nel cuore di Eywa – la madre di tutte le cose -, il cineasta ci introduce ad un elemento a lui familiare come quello dell’acqua, facendo immergere il pubblico tanto da lasciarlo estasiato. Un’opera che dalla frenesia dei suoi avvenimenti saprà prendersi il dovuto respiro, per rimanere poi in apnea e dare modo allo spettatore di contemplare l’immaginazione dell’autore prendere vita.
Magnifiche creature e vegetazione incantevole riempiono di grazia uno schermo che accoglie un 3D essenziale per vedere espressa al proprio meglio la bellezza che gli oceani di Pandora hanno da dare. Momenti di puro godimento visivo, in cui la storia si ferma e non importa nient’altro. Bisogna solo prendersi un lungo attimo per poter guardare.
Alla calma sotto la superficie in cui Avatar – La via dell’acqua culla gli spettatori, vanno contrapponendosi le estese sequenze action che bilanciano la doppia concezione del genere blockbuster secondo James Cameron, le quali uniscono all’emotività del narrato anche un sostanzioso portato dinamico. Scene alquanto dilatate occupano le tre ore e dieci di film, trascinando il pubblico in battaglie cruente che scuotono, ma non abbandonano l’attonimento che la pellicola sa suscitare.
Azione e sbigottimento per la natura acquatica proposta da questo sequel di Avatar. Le anime della carriera di James Cameron, di cui non a caso questo film sembra richiamare tante altre sue pellicole, le quali fanno insieme in modo che La via dell’acqua resti un unicum come il suo predecessore.
Anzi, un corpus vero e proprio, in cui tutto torna coerente e circolare, aspettando di veder mettersi insieme i pezzi di un mosaico che l’autore ha da sempre immaginato più spazioso, al limite dello smisurato. Un essere in tutto e per tutto al centro di Avatar. Lì dove gli spettatori, soprattutto gli affezionati, vorranno stare.