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barbie film villain
Alessio Zuccari

Barbie: quindi è LUI il villain del film?

Tags: barbie, greta gerwig, ryan gosling
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Alessio Zuccari

Barbie: quindi è LUI il villain del film?

Tags: barbie, greta gerwig, ryan gosling

Il film di Greta Gerwig è diventato in pochissimo tempo un fenomeno di portata globale. Ma chi è vero il cattivo in questa storia?

Quando ci sono film che segnano un successo ampio e trasversale come riesce a fare Barbie, diventa a quel punto facile imputare al film ciò che non è. Barbie sta macinando milioni di ingressi al cinema… ma non è la risposta alla crisi del settore. Barbie usa una nota proprietà intellettuale per veicolare un discorso il più possibile fruibile… ma non è altro che un restyling di immagine per la Mattel. Barbie discute senza fronzoli del ruolo della donna e dei disvalori del patriarcato… ma non lo fa scendendo nel dettaglio di certi fenomeni.

Ecco, di “non” ce ne sono tanti. E sono tutti giustissimi, ci mancherebbe. Allo stesso tempo, quando si ragiona per “non”, si rischia di scivolare su quell’ingeneroso terreno dove il “non” è trappola concettuale che sposta l’asse della discussione. Barbie scende a compromessi, è chiaro, è soprattutto palese, è parte integrante dell’operazione blockbuster: abbracciare istanze che possano parlare a molte persone conciliando quindi la riflessione su temi cardine della contemporaneità alla necessità di fare botteghino. It’s show business, baby. A maggior ragione se stiamo discutendo a un film il cui titolo è… Barbie.

Da villain a… alleato?

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Photo Credits: Warner Bros. Pictures

Il lavoro che porta la firma di Greta Gerwig, in sceneggiatura con Noah Baumbach, ha quindi il grande onere di filtrare attraverso griglie piuttosto rigide concetti cruciali da far arrivare a un pubblico molto eterogeneo. Criticare a Barbie il non parlare di questo o non parlare di quello è legittimo, eppure sembra non tenere volutamente conto di un’evidente realtà dei fatti – che questa ci piaccia o meno. A maggior ragione rischia di perdersi per strada l’epocale passo in avanti che il film muove, e che muove assieme a milioni di persone.

Quale? Quello che dice una cosa di un’importanza assoluta: il personaggio di Ken (Ryan Gosling), espressione a un certo punto dell’inquinamento valoriale derivante da una virilità tossica e novecentesca, può passare, ora, dallo stato di villain della storia a quella di un compagno, di un alleato. Questo è, per davvero, un punto focale della discussione che Barbie porta avanti. Mentre in prima istanza il film tratteggia la presa di coscienza di Barbie Stereotipo (Margot Robbie), a lato delinea i rapporti di forza con il maschile. L’opera guarda ai Ken di Barbieland come figure spaesate, indeterminate in un ordine degli eventi dove sono accessorio. Non li commisera e non li compatisce, perché questa non è una storia dove sono protagonisti, ma li comprende, con molta onestà e sincerità.

E guardando a questi Ken sembra quasi di guardare alla generazione dei Millennials, tesa nel mezzo di una forbice di valori che da una parte vede la pressione degli avvelenati modelli maschili del Novecento e che dall’altra si affaccia a un nuovo mondo non più maschiocentrico. Quindi da un lato una struttura sociale ostica da sgretolare del tutto, dall’altro la possibilità di costruirne una nuova e più sana. Sta qui una non trascurabile affermazione di Barbie: anche se per gli uomini la spinta ad essere i villain della storia è ancora forte, è solo assieme, con consapevolezza e comprensione tra generi, che questa deriva si può scongiurare.

La carta vincente di Barbie

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Photo Credits: Warner Bros. Pictures

È un’affermazione in apparenza semplice, ma che con il solo fatto di essere espressa ad alta voce sposta in avanti la formulazione della causa femminista, fino a questo momento – in particolare nelle trattazioni narrative – più netta nel demarcare il posizionamento dei ruoli. Pensiamo a due film recenti come Promising Young Woman di Emerald Fennell (che in Barbie ha anche un piccolo ruolo) o Fresh di Mimi Cave, dove gli uomini ne escono a dir poco male e con una connotazione negativa precisa. Cosa questa sacrosanta, sia ben inteso. Perché quando il banco è truccato, come lo è stato per gli ultimi, circa, 4000 anni, forzargli la mano e la giocata non è solo un diritto, ma un dovere.

Alla luce di questo riecheggia con ancora più forza il modo in cui Barbie discute i Ken. Li vede parte dell’equazione, li inserisce (e inserisce tutti i suoi spettatori uomini) all’interno di una discussione di cui no, non sono per una volta protagonisti, ma di cui non sono nemmeno per davvero gli antagonisti. Non sono un accessorio (se è questo che spaventa alcuni…), non sono per forza fidanzati, ma ci sono, agiscono e reagiscono in un mondo che si sta riposizionando secondo nuove linee direttrici. Accoglierli, infine, nella nuova visione delle cose è un passo fondamentale verso quel tanto agognato livellamento.

E questa limpidezza nell’affrontare la questione è uno dei punti di forza di Barbie, al quale viene imputato anche di non essere abbastanza sottile, ma che invece fa del suo essere chiaro e diretto la sua carta vincente. Pare arrivare nel momento giusto, pare farsi forte punto di contatto anche attraverso il suo essere fenomeno globale. E fin quando sarà in grado di stimolare una discussione, avrà assolto con efficacia al suo compito.

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