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Alessio Zuccari
L'ultima volta che siamo stati bambini: recensione del film di Claudio Bisio
Tags: claudio bisio, Federico Cesari, l'ultima volta che siamo stati bambini
Dopo una vita professionale trascorsa davanti la macchina da presa, Claudio Bisio ha scelto di esordire anche alla regia. Lo ha fatto con L’ultima volta che siamo stati bambini, un’opera tesa a metà tra la memoria storica e l’intento pedagogico. Il film è adattato a partire dall’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei su sceneggiatura di Fabio Bonifacci e dello stesso Bisio, e il tema è di quelli importanti.
Il 16 ottobre di quest’anno ricorrono infatti gli ottant’anni del rastrellamento del ghetto di Roma da parte dai nazifascisti, che portò alla deportazione di oltre mille ebrei italiani. La maggior parte di questi, uomini donne e bambini, morirono nei campi di sterminio tedeschi, e solo una decina riuscirono a far ritorno al termine della guerra.
Ne L’ultima volta che siamo stati bambini, però, la tragedia rimane sullo sfondo. È presente, aleggia come una minaccia nefasta e si annida tra le pieghe del racconto, ma quello che l’opera di Bisio preferisce fare è abbassarsi all’altezza dei fanciulli, raccontare un terribile spaccato di storia filtrandolo attraverso il loro sguardo – seguendo quest’ottica, il film è passato anche al Festival di Giffoni.
Da qui la scelta di prediligere la forma prevalente della commedia, di un forte tono umoristico che racchiude la personale odissea di tre piccoli amici. Italo (Vincenzo Sebastiani), Cosimo (Alessio Di Domenicantonio) e Wanda (Carlotta De Leonardis) sono un trio eterogeneo. Il primo è un balilla figlio di un gerarca fascista (lo interpreta lo stesso Bisio in una breve scena, su plastica pantomima del Duce), il secondo di un padre inviato al confino per aver detto qualcosa di troppo dopo aver alzato il gomito, la terza invece è una scaltra orfanella che abita in convento.
Si prendono in giro, si punzecchiano e stuzzicano, ma giocano sempre assieme tra i vicoli di una Roma bombardata dagli Alleati e si legano anche a Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini), ebreo con affissa la stella di David sul petto. Un giorno, Riccardo sparisce. I tre scoprono che è stato messo su un treno per andare in Germania e quindi decidono di incamminarsi lungo le rotaie della ferrovia con l’obiettivo di andarlo a liberare.
E basti pensare proprio all’onnipresenza di queste rotaie che scandiscono il percorso e le soste de L’ultima volta che siamo stati bambini per tracciare un punto di riferimento diretto con ad esempio Stand By Me, opera per eccellenza che demarca il passaggio dall’innocenza della fanciullezza al crudo impatto con l’età adulta. Del film cult di Rob Reiner fa scuola soprattutto nel concepire l’avventura come il lento impatto con un mondo fatto di sfide, di piccole vittorie e di piccole sconfitte, con un traguardo che forse per alcuni è un nuovo punto di partenza, per altri un fatale capolinea.
Bisio e Bonifacci non perdono però mai di vista la traiettoria della leggerezza come viatico all’insegnamento. Insegnamento su come l’incontro-scontro tra differenze sia la formula regina per la scoperta della propria persona – in questo lavora soprattutto la seconda linea del film, che segue Vittorio (Francesco Cesari), militare e fratello di Italo, e suor Agnese (Marianna Fontana), entrambi sulle tracce dei fanciulli – e sull’importanza del mantenere viva la memoria del passato.
L’ultima volta che siamo stati bambini è un’opera che ragionata sotto questo profilo riesce nel suo intento. Si affida molto alla spontaneità e all’alchimia tra i suoi giovani protagonisti, che ripagano con delle interpretazioni gioiose e cariche di ironia che contrastano con efficacia il malessere del mondo che li circonda. È un film pensato per comunicare in maniera trasversale e rivolgersi con un occhio di riguardo ai più piccini, capace di trovare il giusto equilibrio tra il peso della Storia e la genuina frizzantezza del viaggio come metafora.
L’ultima volta che siamo stati bambini è al cinema con Medusa Film dal 12 ottobre.