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Alessio Zuccari
Tutti tranne te: recensione del film con Sydney Sweeney e Glen Powell
Tags: glen powell, sydney sweeney, tutti tranne te, will gluck
Belli, bellissimi. In Tutti tranne te è l’occhio per primo a volere la sua parte. Lo sa Will Gluck, che il film lo scrive assieme a Ilana Wolpert e dirige. Lo sappiamo noi, gli spettatori, che all’ampio petto di Glen Powell e alle forme di Sydney Sweeney, i due protagonisti, resistere proprio non possiamo. E non vogliamo.
Perché con Tutti tranne te siamo seduti tutti quanti allo stesso tavolo: cerchiamo una commedia romantica di belli, bellissimi e belli, bellissimi ci vengono consegnati su uno scintillante piatto d’argento. Il patto è sottoscritto e le parti in gioco a questo si attengono. Allora importa il giusto che sia una romcom la cui scrittura non viva di particolare innovazione. In fondo non ha interesse a farlo, non è quella la sua forza trainante, e si affida al rimescolare le traiettorie note e ben collaudate di un genere sempreverde.
Bea (Sweeney) e Ben (Powell) si incrociano in un bar e scatta il meet cute. Passano una piacevole serata assieme, si divertono e forse c’è intesa. La mattina dopo però lei se ne va senza dire nulla, ci ripensa, torna indietro e origlia lui che la sminuisce con un amico. Stacco. Passano i mesi, i due si rincontrano e poi vengono invitati a un matrimonio: coincidenza comanda che la sorella di Bea (Hadley Robinson) si stia per sposare con l’amica di Ben (Alexandra Shipp).
Si vola quindi fino in Australia e si instaura un doppio e buffo gioco all’inganno. I parenti vogliono far mettere insieme i due per paura che possano combinar guai e i due fingono effettivamente di stare insieme per non rovinare l’umore generale. C’è un po’ di Inganno d’amore, c’è un po’ di Notte brava a Las Vegas, c’è un po’ di Harry, ti presento Sally… Si ripropongono le dinamiche a fisarmonica dell’avvicinarsi e del distanziarsi senza disperdere mai l’attenzione sulla messa a fuoco dei corpi e del ruolo che i corpi giocano nell’economia di un’opera ragionata su questa misura.
Sweeney ha già dimostrato come saper utilizzare il proprio, di corpo, mettendolo a contrasto in una statura tragica come quella di Cassie in Euphoria, e adesso lo declina anche alla commedia tesa tra uno slapstick mai volgare e l’ammiccante. Anche Powell sta traslando i suoi muscoli dal machismo marmoreo a campo di discussione comico, come ha in particolare iniziato a fare con Richard Linklater prima in Everybody Wants Some!! e soprattutto in un’altra clamorosa romcom che è Hit Man, di cui co-scrive anche la sceneggiatura, per confermarlo poi in questa occasione.
È una formula alchemica che funziona e che sa perfettamente di farsi appetibile, di solleticare in maniera sana fantasie e umorismo. Sa anche di confezionarsi in ogni suo aspetto come il sogno ideale che, per definizione, non conosce compromessi. Il matrimonio è in un posto da favola dall’altra parte del mondo, è un qualcosa che si può permettere chiaramente solo l’upper class (ville, escursioni, giri in yacht) e dove ad essere belli, bellissimi non sono solo Bea e Ben, ma anche ogni singolo altro membro delle due famiglie. Gluck su questo gioca e ironizza sopra, ad esempio come quando trova un perfetto polo demenziale nel più grosso e più muscoloso Beau (Joe Davidson) o quando scombussola Ben con l’ex fiamma Margaret (Charlee Fraser) e alcune sue velate nudità.
Tutti tranne te è dunque un cinema di consapevole epidermide, commedia che rimpasta con efficacia gli stilemi della categoria e li mette a uso e consumo dei suoi irresistibili personaggi, in cui Powell e Sweeney trovano una chimica in cui forse lui è un passettino più smaliziato di lei. Cosa più importante del film, è il suo rivelarsi anche in grado di non sbavare mai quando dosa l’utilizzo del maschile e del femminile, in un rimpallo equo e paritario dove nel momento in cui si acchiappa, si acchiappa sempre bene.
Tutti tranne te è al cinema dal 25 gennaio.