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Martina Barone

Rumore bianco: recensione del film con Adam Driver su Netflix

Tags: adam driver, noah baumbach, rumore bianco
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Rumore bianco: recensione del film con Adam Driver su Netflix

Tags: adam driver, noah baumbach, rumore bianco

Adam Driver e Greta Gerwig sono i protagonisti di Rumore bianco di Noah Baumbach, film di apertura di Venezia79

Rumore bianco è il progetto più ambizioso di Noah Baumbach. La produzione è stata estenuante e sofferta, direttori della fotografia si sono succeduti nella realizzazione e diversi lutti hanno toccato i giorni di lavoro per portare al festival di Venezia e successivamente su Netflix il libro nato dalla mente di Don DeLillo e trasposto per il grande schermo.

Eppure è gioioso il risultato portato a compimento dall’autore, luminoso nonostante il costante accompagnamento di una morte che è temuta, sofferta, inseguita, agognata. Inaspettato viste le pagine amare dello scrittore statunitense, che mostra come Baumbach abbia desiderato fare suo fino al midollo il lavoro di adattamento, cercando di smarcarsi dalla consuetudine del proprio cinema eppure incapace (giustamente) di distaccarsene completamente. 

Così il regista e sceneggiatore rende narrative delle sensazioni, quel presagio di morte infimo e costante, che diventa ossessione e coperta sicura dei personaggi. Quella a cui aggrapparsi quando sentono che esistere diventa davvero troppo, tutti talmente pieni di una voglia di vivere che li spinge quasi ad annientarsi. È l’iconografia di una fine certa che il cineasta brama, che vuole far vibrare in un’opera la quale deve comprimere al suo interno una tesi lugubre e vastissima, di cui sembra dirsene sempre incredibilmente tanto non essendo però mai certi di averla capita davvero.

Rumore bianco: cos’è la morte?

Perché la più grande domanda intorno alla morte è proprio: cos’è? Com’è la morte? Cosa significa? Come la vive l’essere umano, essendo per antonomasia la rappresentazione della fine e cosa c’è dopo aver chiuso definitivamente gli occhi? È ai miti e alle leggende che uomini e donne si sono agganciati per combattere la morte. Non per sconfiggerla o annullarla, semplicemente per arrivarci privi di qualsiasi paura.

Ed è studiando Hitler e riempiendosi di riferimenti su Elvis Presley che Rumore bianco estremizza la tendenza ad una conclusione che in entrambi i casi riporta lo stesso risultato: rifugiamo la morte catapultandoci nella vita. Nelle masse di persone in cui perdersi e sentire tutti il medesimo brivido, quello di essere membri di uno stesso partito o di eccitarsi di fronte a quella sola anca ondeggiante. 

Nell’orde di gente, Rumore bianco si riversa con l’imminente catastrofe di una nube di fumo tossica che aleggia sulla cittadina dei protagonisti, nei rifugi in cui ripararsi simulando o meno centri di accoglienza per sfollati, nei supermercati che sono da sempre non luoghi fissi pur diversi ogni volta al proprio interno in cui perdersi nella conformità del gruppo e del sentirsene parte.

Dal testo stratificato di DeLillo, Baumbach cerca di estrarre il più possibile simbolismi e significati dando loro forma fisica, senso visivo, gusto cinematografico mentre lascia intuire un universo in cui poter scavare per ancora molto tempo dopo il film, il quale ha fornito tutti gli elementi per rivelarsi una mappa dai molteplici contenuti semantici che resta poi al pubblico decifrare. 

La vita (e la fine) come teatro e letteratura in Rumore bianco

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Credits: Netflix Italia

La tendenza verso la morte di Adolf Hitler e Elvis Presley mostra una spinta sociale e culturale che Don DeLillo ha teorizzato nel romanzo e con cui Noah Baumbach è entrato in connessione per raccontare i tormenti e i déjà-vu di un’esistenza messa in scena come a teatro, caricandola del peso letterario delle sue parole. Sono personaggi irreali quelli presentati, che però racchiudono la nostra angoscia di dover vivere senza aver saputo dare un senso ai nostri giorni.

È essere terrorizzati perché il processo di decomposizione è già in corso. Non possiamo dire se finirà oggi, domani, tra una settimana, anni. Ma sappiamo che prima o poi dovremo tutti morire, e questo non può che spaventarci.

Con una gestione di spazi e dialoghi che dell’umorismo dell’autore ritrovano il suo acume ironico e uno scambio di battute con sovrapposizioni di frasi che anche nella recitazione richiamano il distacco e la precisione straniante di Synecdoche, New York di Kaufman, Rumore bianco è vicino e lontano dalla filmografia di Noah Baumbach essendone rivisitazione e rielaborato.

È la propria versione di cosa vuol dire avere paura della morte, partendo da un canovaccio uguale per tutti, ma rendendo solo e personale come nessuno. 

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