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Cristiana Puntoriero
The Crowded Room: recensione della serie su Apple Tv+ con Tom Holland
Tags: amanda seyfried, apple tv+, Recensione, serie tv, Tom Holland
Valorizzata dalla regia dell’ungherese Kornél Mundruczó e da un’inedito Tom Holland al suo ruolo più complesso e oscuro, The Crowded Room affolla più generi (crime, dramma, thriller psicologico) in una serie tv sola, indagando le modalità di alcune menti criminali distorte e fragili.
La trama ufficiale di The Crowded Room:
Narrato attraverso una serie di interrogatori condotti dalla detective Rya Goodwin (Amanda Seyfried), la serie ripercorre la storia di Danny Sullivan, un uomo che viene arrestato in seguito al suo coinvolgimento in una sparatoria avvenuta a New York City nel 1979, rivelando elementi del suo misterioso passato, con colpi di scena che lo porteranno a una rivelazione che cambierà la sua vita.
Come successo con Evan Peters per Dahmer, nella nuova serie psicologica The Crowded Room l’amato Tom Holland s’inabissa nelle profondità più inquietanti della mente di un killer, calandosi stavolta nel suo ruolo più complesso e oscuro. Finora, infatti, l’attore britannico ha interpretato per lo più la parte dell’etneo supereroe Spider-Man, o preso parte in film a tema come Avengers e Venom, alternando tuttavia agli universi fumettistici alcuni titoli più drammatici come Le strade del male, Cherry – Innocenza perduta e quello degli esordi The Impossible.
Il ruolo in questione che lo avrebbe «distrutto» tanto da convincerlo a prendersi una pausa di un anno dalla recitazione è quello di Danny Sullivan, protagonista dell’ultimo dramma seriale di Apple TV+ ispirata al romanzo biografico Una stanza piena di gente, il libro scritto da Daniel Keyes nel 1981 che ripercorre la vita del celebre serial killer americano Billy Milligan, il quale nel 1977 derubò, rapì e violentò tre studentesse, per poi essere assolto per infermità mentale a causa del disturbo di personalità multipla con il quale conviveva.
Diretta dal bravissimo regista ungherese di Pieces of a Woman Kornél Mundruczó, The Crowded Room, in realtà, sembra solamente prendere le mosse dalla storia incredibile di Milligan, poiché al centro degli episodi c’è appunto il passato confuso e traumatico di Danny, un ragazzo accusato di aver ferito due persone in una sparatoria a New York nel 1979, il quale viene interrogato dalla detective Rya Goodwin (Amanda Seyfried) nel corso delle indagini per chiarire la sua (presunta) responsabilità.
Dietro all’orchestrazione e all’azione vera e propria di quel gesto c’è infatti la complicità di Ariana (Sasha Lane), coinquilina problematica e vulnerabile con la quale si ritrova a convivere per caso dopo che il misterioso dirimpettaio di origini israeliane Yitzak (Lior Raz) gli ha offerto riparo dopo un’aggressione che lo ha visto vittima da parte di un bullo. Per Danny, quelle due figure creeranno in lui un forte ascendente, trovando in loro il coraggio di reagire, di trovare il proprio spazio e di allontanarsi, simbolicamente e fisicamente, dalla propria casa, abitata da una madre (Emmy Rossum) sacrificata ad un compagno violento e dipendente dall’alcool.
Come è facile intuire dalla tematica del libro da cui è tratta, la serie creata dal premio Oscar per A Beautiful Mind Akiva Goldsman, nonostante le sembianze, non è un crime classico in cui la ricostruzione degli eventi diventa l’obiettivo narrativo principale, ma la realtà e gli eventi qui non sono affatto verificabili e lineari perché appartengono alla mente, frammentaria e decomposta, di Danny, nella quale si affollano ricordi, impulsi, traumi, identità differenti.
Un’opera rischiosa e ambiziosa che nei primi episodi traccia i contorni di una figura centrale molto enigmatica incarnata da un Tom Holland inedito, che sfrutta la sua corporatura esile e ancora da teenager per trovare l’empatia da eterno sconfitto la cui sofferenza accumulata, a volte, sembra davvero palpabile, per poi rivoltare le aspettative in un colpo di scena finale già annunciato.
L’aspetto più affascinante di The Crowded Room sembra tuttavia concretizzarsi nella direzione registica di Mundruczó, che infonde in ogni fotogramma la cura di una ricerca del mistero orrifico con la bellezza estetica della luce naturale e l’ambientazione metropolitana degli anni ’70, con trovate interessanti (i movimenti di macchina della scena d’apertura dalla metropolitana alle vie di New York; il gioco delle ombre degli alberi in una sequenza notturna; la sigla ispirata ai ritratti a cera che ama disegnare Denny) e il ritorno di oggetti dalla superficie riflettente come specchi, vetri, finestre, acqua.
Se in Pieces of a Woman Vanessa Kirby andava in pezzi dopo aver perso prematuramente la figlia, in The Crowded Room il tema della disgregazione sembra tornare seppur in modo diverso: è Tom Holland ora a mostrarci come la nostra interiorità e la nostra essenza sia frutto di singole unità nate dalla nostra esperienza e dal nostro passato; brandelli di personalità unite ciascuna all’altra come un mosaico imperfetto che a volte non finiamo mai di conoscere per intero.